Don Michele Palchetti, laureato in Giurisprudenza e licenziato in Diritto canonico, è Giudice presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco; gli abbiamo rivolto alcune domande su uno dei temi caldi del Sinodo: quello dei casi di nullità del matrimonio.

Don Michele, in cosa consiste questo suo ruolo al Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco?
Consiste nell’istruire e giudicare le cause di nullità del matrimonio introdotte da fedeli delle Chiese della Toscana, raccogliendo le prove necessarie per rispondere alla loro domanda di riconoscere l’invalidità del consenso espresso al momento delle nozze. Fino ad oggi, poi, ho fatto parte dei Collegi che hanno valutato se le sentenze emesse in I° grado dai Tribunali Ecclesiastici delle Marche e dell’Umbria erano logiche e motivate, ratificandole con decreto e rendendole esecutive, oppure rimettendole alla procedura ordinaria, cioè raccogliendo nuove prove in vista di una sentenza di secondo grado, conforme o difforme da quella di I° grado.

Sono ormai diversi anni che svolge questo servizio: sono stati molti i casi provenienti dalla nostra Diocesi?
E’ dall’ottobre del 2002 che presto servizio presso il Tribunale ecclesiastico, dall’aprile 2004 con nomina quinquennale, rinnovata per altri due mandati, fino al 2019.
In media vengono introdotte ogni anno una decina di cause pistoiesi: nel 2009 quattordici, nel 2013 dieci e nel 2014 sei. Nel caso in cui il giudice abbia conoscenza diretta dei coniugi, se ritiene di essere umanamente coinvolto, è bene che si astenga dal far parte della Terna giudicante: a me, in questi anni, non è mai capitato di valutare la situazione matrimoniale di persone con le quali avevo una conoscenza diretta.

Quante cause pendenti avete al momento? In media, quante tra queste si chiudono con la nullità e quali sono le motivazioni più ricorrenti?
Gli ultimi dati disponibili riguardano le pendenze a fine 2014, cioè 489 cause come Tribunale di I° istanza e 352 come Tribunale di appello, per un totale di 841 cause.
In primo grado, le cause che si concludono con sentenza di nullità sono in media l’85% di quelle introdotte: ad esempio, nel 2014, sono state concluse 177 cause di primo grado, con 153 sentenze affermative, 13 sentenze negative ed 11 archiviate per perenzione, rinuncia o decesso.
La media delle sentenze affermative deriva anche dal fatto che, prima dell’introduzione della causa, consulenti ed avvocati hanno il dovere di aiutare i coniugi a capire se ci sono indizi di nullità del matrimonio, dissuadendoli nel caso di contrario. Lo stesso Vicario giudiziale, cioè il responsabile del Tribunale, deve in via preliminare valutare la sussistenza del fumus boni iuris, cioè della fondatezza della richiesta di nullità in base alla ricostruzione presentata da uno o entrambi i coniugi.
Le motivazioni più ricorrenti, nel Tribunale Etrusco, sono l’esclusione dell’indissolubilità del vincolo, l’esclusione della prole, il grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti ed i doveri matrimoniali essenziali, l’incapacità per cause di natura psichica ad assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio.

Come si arriva al Tribunale ecclesiastico? A chi è necessario rivolgersi? Quanto costa un processo?
Al Tribunale ecclesiastico si può arrivare per conoscenza diretta, ma più comunemente tramite il consiglio del proprio parroco, o del consulente della Curia vescovile; è necessario rivolgersi alla segreteria del Tribunale, che ha sede a Firenze, in Via Pierluigi da Palestrina, o ad uno degli avvocati che possono patrocinare di fronte al medesimo Tribunale.
Il costo delle cause varia molto in base alla scelta del diretto interessato di affidarsi ad un patrono di fiducia, il cui onorario può andare da un minimo di 1.575 euro ad un massimo di 2.992 euro; oppure, ad un patrono stabile del Tribunale, nel qual caso l’unico costo da sostenere è pari a 525 euro, come contributo alle spese del Tribunale. Naturalmente, in caso di assenza di redditi sufficienti, è possibile essere esentati da ogni costo, compreso il suddetto contributo alle spese.

Ha qualche consiglio da offrire a una coppia in crisi, prima di invitarla a rivolgersi al Tribunale ecclesiastico?
Il consiglio è a pensare che anche un matrimonio eventualmente nullo può essere trasformato in realtà di amore e di donazione, con l’aiuto di Dio e la conversione personale; la prospettiva della nullità del matrimonio deve subentrare quando ormai non ci sono più margini apparenti per recuperare: anzi, per l’introduzione della causa, è necessario che ci sia la separazione almeno di fatto.
In questo senso, dobbiamo far attenzione a non trasmettere il messaggio negativo in base al quale è preferibile avere la nullità del matrimonio piuttosto che l’aiuto e la rinnovata capacità per viverlo fino in fondo, con tutte le ferite e le fatiche che una realtà esigente come quella matrimoniale comporta.

Quale accompagnamento pastorale ritiene più opportuno per le coppie che vivono questa rottura?
Se di rottura si tratta, è bene che entrambi i coniugi, ognuno per conto suo, rafforzino la propria appartenenza alla comunità parrocchiale ed alla Chiesa diocesana, le quali, a loro volta, devono cercare di intercettare queste persone, aiutandole a pregare a livello personale e comunitario, a celebrare con maggiore intensità i sacramenti, laddove possibile; a confrontarsi con altri fedeli, laici o chierici, in grado di sostenerli nel vivere la propria situazione di solitudine, sentendosi ancora chiamati a vivere la grazia del sacramento, nella sua dimensione di amore gratuito, dato anche se non corrisposto, amore ancora possibile proprio perché benedetto e consacrato da Dio.
Nel caso in cui il confronto faccia emergere fattori riconducibili a casi di nullità del matrimonio, è bene rivolgersi a persona preparata per una prima consulenza, mantenendo un atteggiamento di preghiera e di ricerca della volontà di Dio.

Prima del Sinodo, Papa Francesco ha attuato una importante modifica del processo canonico per le cause matrimoniali. Può spiegarci in parole semplici in cosa consiste?
In questa sede, posso soltanto sottolineare due aspetti: finora la sentenza di I° grado doveva essere confermata in appello per diventare esecutiva; dal momento dell’entrata in vigore della riforma, nel prossimo dicembre, non sarà più così: se non verrà interposto appello, la sentenza che per la prima volta ha dichiarato la nullità diventerà esecutiva.
Il Vescovo diocesano potrà giudicare le cause riguardanti matrimoni manifestamente nulli con un processo più breve.
La volontà del legislatore di coinvolgere direttamente i Vescovi diocesani, riconoscendo loro il diritto di organizzare il Tribunale per le cause di nullità matrimoniale nella propria Chiesa particolare, dovrà fare i conti con la necessità di formare personale adeguato, salvaguardare i valori dell’imparzialità e della competenza di ogni giudice (compreso il Vescovo), e tenere presente la risposta fornita in data 13 ottobre 2015 dal Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, il quale ha chiarito che, per recedere dai Tribunali regionali, i Vescovi dovranno ottenere la relativa “dispensa” dalla Santa Sede.

Che idea si è fatto di questo Sinodo sulla famiglia?
L’idea di un’assemblea invitata a riflettere ed a fare proposte su una realtà complessa ed in divenire come quella della famiglia; l’idea di un evento di Chiesa importante per riannunciare la necessità e la belleza della vita di coppia, consacrata nel matrimonio, perché non sia risucchiata da una concezione disincarnata dell’amore.
Occorre ribadire che la vocazione originaria dell’uomo e della donna è alla vita coniugale, perché in essa è possibile sperimentare l’alterità e la complementarietà esistente soltanto tra persone di sesso diverso; d’altro canto, occorre riconoscere che la dimensione del peccato non è assente dalla vita di coppia, che per questo necessita di una grazia specifica. L’amore tra uomo e donna è una realtà tanto naturale quanto fragile, tanto bella quanto impegnativa: può essere vissuta soltanto come vocazione all’amore ed al dono di sé, nella reciprocità mai raggiunta in pienezza.
Il Sinodo sulla famiglia è da leggere come un’esperienza di Chiesa, tesa ad interrogarsi su concezioni tanto distanti: basti pensare che in Asia il 25% dei matrimoni è tra persone di religione diversa e che nel mondo occidentale non sappiamo più cosa si intende con il termine “famiglia”, visto che si va imponendo a livello culturale e sociale una visione frammentata.
Alcune questioni particolari, come quella della Comunione ai divorziati risposati, non devono far dimenticare quante persone oggi volontariamente non si sposano con rito canonico e quanti, pur avendolo fatto, decidono di non partecipare alla vita comunitaria e rinunciano con leggerezza all’Eucaristia ed al sacramento della Penitenza.

Daniela Raspollini

 
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