Giovanni Costetti, L'entrata di Cristo in Gerusalemme (1923) Firenze, Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti
Giovanni Costetti, L'entrata di Cristo in Gerusalemme (1923) Firenze, Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti

 

RIFLESSIONE DI UNA CONSACRATA SULLA SETTIMANA SANTA

Con la Domenica delle Palme ha inizio la Settimana Santa. Personalmente la voglio intraprendere con uno sguardo interiore su Gesù, sul mistero del suo amore che arriva fino al dono di sè.

Gesù non ha anteposto nulla alla volontà del Padre: né il progetto di predicazione che aveva iniziato, né gli amici che aveva chiamati a sè e ammaestrati perché continuassero la sua missione, neppure la Madre che tanto amava. Nulla. Gesù ha obbedito fiduciosamente al Padre.

Dopo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, le grida osannanti e festose della folla –composta di grandi e piccoli con palme e vesti stese come tappeti- si muteranno, da lì a poco, in “sia crocifisso”. Parole esclamate, probabilmente, dalla stessa folla che non conosce il motivo della condanna, né sa la verità, ma si adegua alle grida dei più.

La voce dei pochi -quella dei suoi apostoli e della sua carissima Madre-, la voce di coloro che conoscevano la sua indiscutibile innocenza e tutto ciò che aveva fatto durante la vita pubblica, veniva soffocata dalle insistenti grida “sia crocifisso”. E ancora, messo a confronto con un malfattore, la folla gridava: “Vogliamo libero Barabba, a morte Gesù il Nazareno!”

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Maestro Guglielmo, Ultima Cena / Cattura di Cristo (1199 circa) – Cripta della Cattedrale di San Zeno (Pistoia)

Gesù ha deciso di obbedire al Padre: ha deciso di fare la sua volontà! Per questo, durante la Cena Pasquale, trova un modo tutto suo di lasciarci un esempio. Lavò i piedi ai suoi discepoli, Lui che era il Maestro, per dirci che anche noi dobbiamo amarci e servirci a vicenda con il grembiule cinto alla vita, sempre pronti a servire tutti con tanta misericordia, anche il più antipatico, anche quello che ci fa soffrire amaramente e ci procura angosce dalla mattina alla sera. Riflettiamo: fra i dodici c’era Giuda e Gesù sapeva bene che lo avrebbe tradito, eppure lo ha scelto, lo ha tenuto tra i suoi amici, non lo ha mai allontanato. Chissà con quanta pazienza cercava di formarlo! Sapeva che era un ladro e gli ha lasciato gestire la cassa comune.

Quanta fiducia ha avuto in Giuda fino all’ultimo istante! E quella sera, a cena con loro, chissà con quale forza d’animo, prima di morire, ha escogitato un modo speciale che è stato quello di rimanere per sempre con noi nell’Eucarestia: il Sacramento dell’amore. Un modo semplice, umile, un annientamento totale di sé. Non poteva scendere più in basso nella scala dell’umiliazione. Il nostro Redentore si fa presente in un pezzetto di pane e poche gocce di vino. Il suo Corpo – Sangue – Anima e Divinità, la sua persona intera è tra noi per sempre e a disposizione di tutti coloro che lo riconoscono come Salvatore.

Per ritirarsi in preghiera chiamò Pietro, Giacomo e Giovanni perché gli facessero compagnia ma, ahimè, si addormentarono mentre Gesù implorava il Padre che allontanasse da lui quel calice della sofferenza. Passa davanti a noi l’intensità della scena dell’agonia nell’orto degli ulivi. Gesù, oppresso dalla previsione della prova che lo attende, solo davanti a Dio, lo invoca con la sua abituale e tenera espressione di confidenza “Abbà Padre”. Ma il Padre sembra non voler ascoltare la voce dell’amato Figlio. Non finiremo mai di indagare l’abisso di questo mistero!

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Jorio Vivarelli, Crocifisso (1956) Chiesa della Vergine, Pistoia

Gesù è condannato, è rimasto solo, gli amici per paura, sono fuggiti, lo hanno abbandonato. È tradito da Giuda e rinnegato da Pietro. C’è tutta l’amarezza di questo paradosso nel grido del dolore, apparentemente disperato che Gesù leva sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

È possibile immaginare uno strazio più grande, un’oscurità più intensa? Il grido di Gesù sulla croce, pur nella sua angoscia, è la preghiera del Figlio che offre la vita al Padre nell’amore per la nostra salvezza. Mentre si identifica con il nostro peccato, si abbandona nelle mani del Padre. La sua Passione è sofferenza atroce dell’anima. Gli evangelisti però, ci raccontano che nell’abisso del suo dolore, Egli muore implorando il perdono per i suoi carnefici ed esprimendo al Padre il suo estremo abbandono: “Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito!”

Nel Venerdì e nel Sabato santo, la Chiesa continua a restare in contemplazione di questo volto insanguinato, nel quale è nascosta la vita di Dio e offerta la salvezza al mondo. Ma la contemplazione del volto di Cristo non può fermarsi all’immagine di Lui crocifisso. Egli è il risorto, il vivente che cammina con noi per le strade dell’umanità, è nella persona che ci vive a fianco ogni giorno, ma con la nostra cecità spirituale non lo riconosciamo. La resurrezione è la risposta del Padre all’obbedienza del Figlio, la via per riportare tutti noi alla salvezza eterna.

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Guido da Como (1250) Gesù discende agli inferi / Apparizione ai discepoli di Emmaus, Chiesa di San Bartolomeo (Pistoia)

Come religiosa mi sento tanto responsabile di aver ricevuto la sua chiamata a seguirlo in una vita di totale consacrazione e, anche se con tantissima gioia nel cuore, mi rendo conto di essere fortemente inadeguata per corrispondere a tutto l’amore che Lui mi ha dato e continua a darmi. Confido immensamente nella sua infinita misericordia e in questa Settimana Santa voglio rinnovare, con la certezza del suo aiuto, l’impegno di testimoniarlo, ogni giorno, con tutte le mie povere forze.

Suor Delia Lafarciola (Suore Domenicane Ancelle del Signore – Pistoia)


Giovanni Pisano, Crocifisso (1300 circa) Pieve di Sant'Andrea (Pistoia)

La Rinuncia della Croce

Gesù è Colui che rinuncia completamente alla totalità dell’onnipotenza per aprirsi al totalmente altro e al bene del prossimo.

Questa è la realtà della Croce di Cristo. E’ una mèta molto alta, alla quale Dio, nella Sua pedagogia, ha portato l’umanità attraverso la storia del Popolo d’Israele, mediante un lungo cammino che va da Abramo a Gesù. Un cammino che arriva fino a S.Paolo, il quale trasforma in prassi di vita questa logica della rinuncia alla totalità.

Nell’antico Testamento ci sono quattro norme, quattro tradizioni sacre che ogni credente deve osservare per essere fedele alla Rivelazione: la circoncisione, il sabato, la kasherut, il Tempio.

La Circoncisione è una mutilazione, un togliere qualcosa, significa rinuncia. Dio comanda ad Abramo la circoncisione (Gen.17,10) come segno sensibile di alleanza e cioè come segno che il circonciso non appartiene più a se stesso, non è più proprietario del suo corpo, ma appartiene a Dio e al popolo. La circoncisione significa la rinuncia alla totalità di se stesso e implica l’apertura a Dio e alla collettività del popolo. Con i Profeti si passa alla circoncisione dell’orecchio e del cuore in senso metaforico (Ger.6-10,e 4,4) e ciò significa rinuncia ad ascoltare solo se stessi e le proprie ragioni, ma a mettere, piuttosto, la propria volontà a servizio di Dio e dell’osservanza della Sua Parola. È una circoncisione che esprime fiducia e obbedienza a Dio (Dt.10,16-Lv. 26,41).

Il Sabato. In Esodo 20,11 si legge “Il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha consacrato”. Il sabato struttura la settimana, ritmando la successione dei giorni e aprendola all’alterità di Dio. Il tempo non è più solo dell’uomo, il tempo è di Dio. Il sabato è un tempio fatto di tempo in cui il credente deve entrare per ricordarsi che lui non è il padrone del tempo che gli è stato messo a disposizione e che deve essere disponibile a restituire una parte di questo a Colui che glielo ha donato.

Kasherut è un termine ebraico che descrive gli alimenti puri e impuri (Levitico 11). Con questa norma, che tiene conto di norme igienico-alimentari, ma intende anche educare il popolo, proibendo alcuni cibi sia di origine animale che vegetale. Osservando queste norme l’uomo si rende conto che non può considerarsi padrone di tutto ciò che produce la terra e di quanto si trova nella creazione .Egli mangerà soltanto ciò che gli è permesso e non tutto quello che vuole.

Il Tempio. Dio concede la terra al suo popolo, invita, attraverso Giosuè, a prenderne possesso. In seguito concederà a Salomone la costruzione del Tempio che il Re David avrebbe voluto costruire (I libro dei Re 5-9). Perché il popolo non si sentisse padrone della terra che gli è stata concessa, Dio fa in modo che una piccola porzione sia consacrata a Lui, alla preghiera, ai sacrifici, al culto; il tempio è la terra riservata a Dio, come segno che non tutta gli appartiene.

Circoncisione, Sabato, Kasherut, Tempio: attraverso queste realtà Dio invita a rinunciare alla totalità di possesso sul corpo, sul tempo, sui cibi e sulla proprietà, per aprirsi alla Signoria di Dio sulla creazione e a fare dono di sé a Dio e agli altri uomini. Queste realtà ci introducono a Cristo Crocifisso nella Sua Kenosis.

In Gesù avviene il compimento di questa rinuncia alla totalità, in vista di una espropriazione di sé che gli permette di essere tutto del Padre e dell’umanità. Accettando di donare la propria vita Egli entra nella stessa dinamica delle quattro realtà che abbiamo indicato, portando la rinuncia al culmine, poiché non rifiuta soltanto una parte, ma la totalità della propria vita. Il compimento non avviene senza eccesso, Gesù lo conduce oltre ogni limite.

Questo concetto è cantato nella lettera ai Filippesi (Fil.2,6-11). Gesù ha rinunciato alla totalità della sua onnipotenza per arrivare fino al punto più basso della nostra condizione umana, per dirci che il Padre è tutto per noi, anche quando perdiamo la nostra dimensione a causa del male e del dolore, anche quando non ci possediamo Lui ci possiede. Se le quattro istituzioni dell’ebraismo ricordavano che l’uomo non è padrone di tutto, la Croce su cui Gesù ha perso se stesso ci ricorda che noi siamo, in tutto, possesso di Dio.

La realtà della Croce di Cristo è scandalo per i pagani e follia per i greci (1Cor.1,22-24) in quanto sia la religiosità ebraica che il razionalismo greco non comprendono la rinuncia alla totalità di se stessi compiuta da Gesù. Nulla ci appartiene, ma noi apparteniamo a un Padre di fronte al quale l’unico gesto “vero” è la totale obbedienza e l’abbandono. Con la rinuncia al nostro egoismo, al nostro potere, possiamo entrare in relazione con le cose. Non possiamo fare diversamente.
Il messaggio della Croce per noi oggi è che non possiamo vantare padronanza sul corpo umano, sul tempo che è dono di Dio, sulla creazione che ci “nutre e ci sostiene”, sulla terra che non è nostra ma di Dio. La croce ci insegna che l’unico modo per entrare in contatto con queste realtà è l’amore.

Don Giordano Favillini (priore Fraternità Monastica di Gerusalemme)