Le stazioni quaresimali guidate dal Vescovo continuano ad attraversare la città.
Venerdì scorso, terzo venerdì di Quaresima, la liturgia è avviata nella chiesa del Carmine per poi spostarsi processionalmente nell’antica pieve di Sant’Andrea Apostolo. Qui il vescovo, commentando le letture proposte dalla liturgia del giorno – la vendita di Giuseppe dai suoi fratelli e la parabola dei vignaioli omicidiha accostato, secondo la tradizione, la figura di Giuseppe a quella di Gesù.
«Eccolo lì il nostro Signore Gesù Cristo. L’abbiamo sentito nelle letture: venduto dai suoi fratelli come Giuseppe; ucciso come l’erede della parabola evangelica! Scartato, però causa della nostra salvezza. “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo”».
Nella Pieve di Sant’Andrea, con singolare efficacia, fanno eco alle parole del Vescovo i due crocifissi lignei di Giovanni Pisano e il concitato dramma della crocifissione scolpito nel pulpito. Immagini che dopo secoli lasciano ancora attoniti.
«Ma perché – continua il vescovo – i fratelli vogliono uccidere Giuseppe e poi lo vendono? Perché i contadini della parabola fanno lo stesso con l’erede e perché Gesù Cristo è disprezzato, umiliato e ucciso? Ma non solo dagli “altri”; anche da noi, laici, religiosi, preti, vescovi e Papi. Perché? C’è una qualche risposta a questo interrogativo?».
Per Giuseppe il sognatore, infatti, i fratelli nutrono un risentimento che lascia sgomenti, proprio perché terribilmente umano.
«Nel racconto di Giuseppe: “L’accenno all’insopportabilità del sognatore sta direi a indicare la rabbia nei confronti di chi è causa di una privazione – i fratelli si sentono in qualche modo depauperati da Giuseppe – e neanche se ne accorge. Sogna appunto, come se irridesse chi sta soffrendo rodendosi l’animo. E qui sta il punto.
Possiamo infatti senz’altro dire che sia i fratelli di Giuseppe che i contadini della parabola, come del resto i capi dei sacerdoti e dei farisei del vangelo sono persone che soffrono. È innegabile. Patiscono, rosi dalla invidia, dalla paura, dalla brama di avere. È però una sofferenza maligna, che Dio non può togliere… essa sta dentro di loro, nel loro modo di pensare e di sentire, nelle loro patologie, nel loro cuore indurito. Ma anche nel nostro cuore indurito».
Sembra paradossale, eppure le promesse di bene e salvezza di Dio, il suo Vangelo, possono essere radicalmente fraintese.
«Il Signore Gesù ama profondamente gli uomini, ma a qualcuno e a noi stessi tante volte sembrerà sempre che Egli sia nemico dell’uomo, che egli ci rubi qualcosa, si frapponga alla nostra libertà, ai nostri desideri. Cristo vuol bene a ognuno, ma a qualcuno e a noi pure, apparirà sempre come un sognatore che non risolve la concreta sofferenza degli esseri umani.
E sempre ci sarà qualcuno, anche noi in tanti casi, che questo segno di contraddizione vorrà eliminarlo, toglierlo di mezzo, dimenticarsene. Ma nonostante tutto, Egli non smetterà di amarci, di dire quello che dice, di proporre quello che propone, di richiedere quello che richiede, di sognare un mondo senza peccato. E continuerà anche se sa di generare spesso nel cuore dell’uomo rabbia, risentimento, il tormento dell’invidia, della gelosia, della paura, la violenza che nasce dal desiderio smisurato di avere ed essere dio. Egli sempre continuerà a voler bene a ogni uomo, sempre».
Quando è accolta, d’altra parte, l’offerta d’amore di Gesù diventa esempio, suscita la risposta dell’uomo: «Dal Signore Gesù apprendiamo poi quale sia l’atteggiamento che dobbiamo maturare qualsiasi siano le contrarietà che incontriamo in mezzo agli uomini: quello dell’amore che non tien conto del rifiuto; quello del perdono che sempre rinnova la sua fiducia nei confronti dell’altro. Apprendiamo infine il necessario coraggio per essere nel mondo non timorosi e vergognosi araldi del vangelo, bensì fermi e saldi testimoni della verità di Dio e dell’uomo, con la consapevolezza chiara di dover andare spesso contro corrente, in compagnia di Gesù».
Qui il testo integrale dell’omelia.
(redazione)