Il percorso quaresimale guidato dal vescovo Tardelli si è combinato venerdì scorso, con la celebrazione delle 24ore per il Signore. Una non-stop di preghiera che sta diventando tradizione anche a Pistoia. L’iniziativa l’aveva lanciata Papa Francesco per la Quaresima del 2015 per vivere la comunione della Chiesa e non trascurare la forza della preghiera. Un’occasione, inoltre, in cui sperimentare la misericordia di Dio nel sacramento della confessione. Tutta la notte, nella Cattedrale di Pistoia è stato possibile pregare in adorazione e accostarsi alla riconciliazione. La liturgia della parola guidata dal vescovo ha avviato questo tempo di grazia speciale soffermandosi su uno dei versetti evangelici che meglio riassume la grande tradizione biblica: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza e amerai il prossimo come te stesso».
Un brano che arricchisce e completa la riflessione del vescovo in preparazione alla Pasqua. «Dopo che il Signore nel venerdì della prima stazione quaresimale ci aveva invitato a una giustizia superiore a quella dei farisei e degli scribi – ha ricordato mons. Tardelli- e dopo che nella scorsa stazione quaresimale in Sant’Andrea ci ha dato l’esempio di cosa intendesse con l’invito a superare la giustizia nell’amore anche verso i nemici, questa sera ce lo dice chiaramente anche a parole che cosa ci chiede: amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come noi stessi. Non c’è comandamento più grande di questo». Il versetto, aggiunge il vescovo, presenta un dato che sembrerebbe quasi ovvio, ma che rischia sempre di essere frainteso: «Messi insieme dal Signore Gesù, noi non possiamo perciò separare i due amori che sono un solo comandamento».
La storia ci rivela, infatti, che la tentazione di privilegiare un amore a scapito dell’altro ha generato distorsioni di non poco conto: «troppe volte – forse poteva esser più vero nel passato che oggi – comunque troppe volte amare Dio ha voluto dire estraniarsi dalla storia, dimenticare i fratelli nel bisogno, non sporcarsi le mani nel soccorrere l’oppresso e lo scartato della società». È il rischio di ridurre la fede a religione esteriore: «Pur trattando le cose sante che sono la verità dell’amore di Cristo per la salvezza degli uomini, le abbiamo però ridotte a “cose sacre”, vuoto ritualismo, sceneggiata senza anima, lode che diventa bestemmia del nome santo di Dio. Preghiera cioè che non ci cambia il cuore e la mente, che appaga soltanto i nostri sentimenti o la nostra sete di rassicurazione».
Una tentazione accomodante che ha trasformato «le nostre chiese in luoghi che esauriscono l’esperienza cristiana, appagano il nostro gusto estetico, detengono l’esclusività di un culto a Dio ridotto a cerimonia».
Altrettanto pericolosa è la tentazione di privilegiare l’altra oggetto dell’amore. Una tentazione che «- forse oggi più di ieri – si fa costume e abitudine mentale. Quella cioè di dimenticarsi dell’amore verso Dio e di pensare che si possa amare il prossimo senza amare Dio, scordandosi di Lui o trascurandolo o addirittura negandolo».
Il rischio è quello di ridurre il cristianesimo in senso orizzontale, di appiattirlo al punto da renderlo insignificante; «tante volte – appunta il vescovo – abbiamo ridotto il cristianesimo a messaggio puramente sociale, per niente diverso dalle tante prospettive sociali e politiche presenti nel mondo».
È un atteggiamto che amputa il cristianesimo, ritenendo: «inutile la preghiera, il rapporto vivo col Signore, l’esperienza del suo amore attraverso i sacramenti. Che importa andare a Messa, si sente dire spesso: basta aiutare il prossimo! Ma non è così: se tu non vai a Messa, cioè se tu non partecipi – naturalmente con fede e convinzione – al Mistero dell’amore di Cristo; se tu non ti lasci trasformare dalla Grazia; se tu non fai quotidiano riferimento a Dio, tu non puoi amare veramente il tuo prossimo. Non solo non ce la farai mai ma quando penserai di aver aiutato il tuo prossimo, lo avrai reso in realtà più schiavo di prima, dipendente da te e avrai soffocato in lui la speranza».
Le nostre società oggi, precisa il vescovo, «vorrebbero realizzare un mondo più giusto e fraterno. Spesso però ci si dimentica di Dio. Anzi, lo si esclude deliberatamente dalla vita personale, dalle famiglie, dalle istituzioni educative, dalla società in genere. Così facendo si viene però a togliere fondamento alla stessa inalienabile dignità di ogni essere umano e si produce una radicale impossibilità di amarci e di amare veramente il prossimo».
Eppure la parola di Gesù è chiara. Qualcuno l’ha compresa, coltivando l’unico comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo con una radicale disponibilità. È il caso dei missionari martiri morti nel 2016 che la chiesa di Pistoia ha ricordato proprio in occasione delle 24 ore per il Signore. «Accogliendo le parole di Gesù e la testimonianza dei missionari martiri, sentiamo allora stasera tutta la nostra debolezza. Ci accorgiamo di quanto siamo ancora distanti dall’amore che dovremmo vivere con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, con tutto noi stessi». Una consapevolezza che non può lasciare inerti nell’amarezza, ma invita alla riconciliazione e a rinnovare, con realismo, la fiducia al Signore.
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(redazione)