Nella prima lettera di S. Paolo apostolo ai Corinti al cap. 11 leggiamo:
“Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.”
Gesù ha anticipato nella cena l’offerta redentrice che avrebbe poco dopo realizzato morendo sulla croce. Ha comandato ai discepoli di celebrare la pasqua e attingervi lungo i secoli la forza per continuare il cammino sino al suo ritorno.
L’invito alla memoria di Lui, rimanda immediatamente a quel “fate questo” (non altro… l’Apostolo e gli Evangelisti sono minuziosi nel riportare i gesti e le parole del Signore), espressione con la quale Gesù ha suggellato, durante l’ultima cena, l’istituzione della santa Cena.
Nei cenacoli di oggi, che sono le chiese sparse per tutto il mondo, ogni giorno e specialmente la domenica, ci raduniamo per “fare memoria” di Cristo e della sua Pasqua. Ripetendo i suoi stessi gesti, le sue stesse parole, senza aggiungere del nostro, come lui stesso ha chiesto.
Ecco perché la Chiesa costantemente si impegna a sollecitare e mantenere viva l’attenzione sul Memoriale della Cena, sulla Celebrazione Eucaristica e sull’Eucarestia. Nella Evangelii Gaudium lo stesso Papa Francesco ci ricorda che:
“Gesù ci lascia l’Eucarestia come memoria quotidiana della Chiesa, che ci introduce sempre più nella Pasqua. La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata: è una grazia che abbiamo bisogno di chiedere. Gli Apostoli mai dimenticarono il momento in cui Gesù toccò loro il cuore… (Gv 1,39). Il credente è fondamentalmente uno che fa memoria”.
La Messa è il rito che fin dalle origini risulta essere il più qualificante, il più importante, potremmo dire il “cuore” stesso della comunità di fede. Il Concilio Vaticano II ha definito non a caso la liturgia “il culmine e la fonte” di tutta la vita cristiana (SC 10). Tutto lì deve portare e da lì si deve ripartire, rigenerati e trasfigurati. Per la Chiesa non c’è bene più prezioso di Gesù Cristo che ci ha salvati con la sua morte e risurrezione. Fare memoria di Lui dei suoi gesti, delle sue parole e del suo amore è necessità irrinunciabile, è riaffermare l’essenziale, è ritornare alla sorgente perché la grazia che ci raggiunge in modo sensibile nei Sacramenti possa rinnovare, sostenere e accompagnare la vita.
È per il ruolo centrale che l’Eucaristia riveste nella Chiesa che lo scorso 15 giugno la Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti con una lettera inviata a tutti i Vescovi a firma del Prefetto, il cardinal Robert Sarah, riporta «per incarico del Santo Padre Francesco» alcune indicazioni sulla produzione ed il confezionamento degli alimenti che costituiscono la “materia” del Sacramento.
Niente di nuovo a dire il vero, nonostante alcune testate giornalistiche abbiamo additato la comunicazione della Congregazione come eclatante; solo alcuni chiarimenti rispetto a quello già previsto al canone n. 924 nel Codice di Diritto Canonico, ai numeri 319-323 dell’Ordinamento Generale del Messale Romano e alle precisazioni date dalla stessa Congregazione per il Culto nel marzo 2004 nella istruzione Redemptionis Sacramentum.
La circolare parte da un oggettivo presupposto: finora il compito di confezionare le ostie e il vino per la Messa era affidato ad alcune comunità religiose, «oggi questi si vendono anche nei supermercati, in altri negozi e tramite internet». E allora il suggerimento ai Vescovi nelle cui Diocesi si producono le ostie ed il vino per la Messa di «dare indicazioni in merito», per esempio garantendo la materia eucaristica mediante appositi certificati “di conformità”. L’Ordinario – sottolinea lo scritto dal  Vaticano – è tenuto «a ricordare ai sacerdoti, in particolare ai parroci e ai rettori delle chiese, la loro responsabilità nel verificare chi provvede il pane e il vino per la Celebrazione e l’idoneità nella materia».
Poi nella lettera si ricordano le disposizioni già impartite per la confezione del pane eucaristico, principalmente nella sostanza delle ostie: deve essere pane azzimo, «esclusivamente di frumento e preparato di recente, in modo che non ci sia alcun rischio di decomposizione». Non è ammessa l’aggiunta di zucchero, frutta o miele. Come anche non sono ammesse le ostie completamente prive di glutine.
Sono invece «materia valida – ricorda la circolare del Dicastero presieduto dal Cardinal Sarah – le ostie parzialmente prive di glutine e tali che sia in esse presente una quantità di glutine sufficiente per ottenere la panificazione senza aggiunta di sostanze estranee e senza ricorrere a procedimenti tali da snaturare il pane». Va da sé – ma la circolare comunque lo rammenta – che le ostie devono essere confezionate da persone che non soltanto si distinguano per onestà (da intendere anche come rispetto dei diritti dei lavoratori delle aziende produttrici, dell’integrità nei confronti del fisco, nella tutele del territorio ecc… [ndr]), ma siano anche esperte nel prepararle e fornite di strumenti adeguati.
La lettera della Congregazione ha creato qualche allarmismo tra i celiaci a cui l’AIC (Associazione Italiana Celiachia) ha tempestivamente risposto con un comunicato e ulteriori precisazioni. Chi volesse saperne di più è invitato a consultare il loro sito e a leggere il comunicato.
Non si transige sul vino, che non può essere sostituito da altre bevande: «Deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee. […] Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida». E poi alcune regole di igiene e buon senso: «Sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto».
Regole chiare, che non lasciano adito ad interpretazioni. La questione è annosa…  già dopo il Concilio di Trento (1545 al 1563) ci fu a livello teorico, una valutazione sull’opportunità di continuare a utilizzare il pane ed il vino nella Celebrazione dell’Eucaristia. Si rifletteva (forse per velare dietro questo pretesto un certo qual processo di inculturazione della Fede, come si è continuato fino ai nostri giorni) sul fatto che effettivamente, in alcune parti del mondo manca la materia prima e poteva forse essere tollerata la sostituzione del pane di frumento con altri tipi di cereali. Dopo svariate discussioni, la Chiesa ha stabilito che non si può cambiare la materia del Sacramento. Gesù non ha dato un’impegnativa assoluta, ma quella era la materia prima della tavola comune e quella deve rimanere.
A noi, poi, qui in Italia la cosa non deve meravigliare: siamo amanti delle regole di produzione “secondo tradizione” soprattutto per quanto riguarda il cibo. Abbiamo disciplinari per la produzioni di alimenti di ogni genere, che garantiscono il rispetto dei consumatori, dei buoni produttori e dell’ambiente.
Abbiamo il primato Europeo per numero di vini con indicazione geografica (73 Docg, 332 Doc e 118 Igt), quasi 60mila imprese che coltivano biologico, la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma ed il bando alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati (dati Coldiretti).
In cosa ci dovremmo stupire se per far scaturire il bene più grande che abbiamo, viene richiesto di provvedere con quanto di meglio il nostro territorio e la sapienza millenaria dell’uomo produce?
Federico Coppini