Il ciclo di incontri proposti dalla rassegna teologica ‘i linguaggi del divino’ ha raggiunto la conclusione.
Non è facile riassumere un percorso di oltre due mesi e mezzo, perché l’arco di proposte e interventi è stato assai ricco e differenziato. I temi delle relazioni, tuttavia, hanno preso spunto dal magistero di Papa Francesco espresso in Evangelii Gaudium. Ai relatori va il merito di averne preso spunto per tracciare una sintesi ampia e attuale e suggerire una proposta a tutto campo che non ha rappresentato soltanto un’occasione per la formazione permanente di clero e laici, ma anche la possibilità di pronunciare alla città una parola ‘altra’ per indicare gli orizzonti dello Spirito. Impossibile riassumere la varietà di contenuti proposta durante la rassegna, tuttavia, nel tentativo di fornire una pista di lettura dei diversi contributi mi sembra possibile individuare alcuni termini ricorrenti; cioè una serie di tre verbi da leggere in un rimando reciproco: contemplare, ascoltare, comunicare; ma anche tre termini che ad essi si richiamano: realtà, relazione, missione.

Contemplativi con i piedi per terra

Le pagine di Evangelii Gaudium si fermano spesso sulla parola ‘contemplare’, che esprime un atteggiamento attivo, responsabile e accogliente nei confronti della realtà e del Vangelo. Tre citazioni chiave di Evangelii Gaudium possono aiutarci a comprendere l’importanza di questa espressione: «la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario» (EG 169); e ancora: «l’amore autentico è sempre contemplativo» (EG 199); «la migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore.. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» (EG 264). Questo ‘cuore’ contemplativo sa cogliere con gioia e stupore i linguaggi del divino con cui il Signore parla agli uomini di ogni tempo e con cui suscita nuovi linguaggi.
Nunzio Galantino, segretario generale della CEI, (2 ottobre) ha invitato a coltivare uno sguardo contemplativo che nasce dall’ascolto dell’altro e della Parola, per esprimere, come ‘Chiesa in uscita’, la fede con un nuovo linguaggio e mettere da parte codici e stili che non comunicano più. «User first»: è il concetto rilanciato da Dario Viganò, prefetto della sala stampa vaticana (5 ottobre). Un’espressione che, sottratta alle logiche del marketing, invita a mettere al centro i bisogni e le inquietudini della gente: perché «prima ancora di ciò che ho in mente di dire è importante lo sguardo contemplativo sul bisogno dell’altro».
Contemplare è anche la premessa della teologia. Non è un novità, perché lo testimonia l’antico adagio domenicano “contemplata aliis tradere”, ma il teologo Piero Coda (10 novembre) ha evidenziato in Evangelii Gaudium due espressioni riferite alle qualità del ‘predicatore’ applicabili anche all’attività del teologo, chiamato ad essere «un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo» (EG 154). Sulla scorta di un’altra citazione, Coda ha introdotto al valore della ‘relazione’: «Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio» (EG 272). Qui può crescere la teologia del popolo perché tutti possono esercitarsi in questo sguardo contemplativo sulla Parola e sull’altro.
Le riflessioni proposte nel percorso della rassegna non hanno dimenticato il riferimento alla realtà proprio del papa, secondo lo stile ignaziano di un discernimento che si fonda sull’esperienza vissuta e uno sguardo di verità su se stessi e le cose. Non esiste contemplazione, d’altra parte, che prescinda da una consapevolezza piena della complessità del reale come dalla sua bellezza. Così, nella tavola rotonda di venerdì 10 novembre sono state tante le riflessioni suggerite dai quattro relatori: Leonardo Becchetti, Chiara Giaccardi, Mauro Magatti e il card. Francesco Montenegro. Idee e proposte sul lavoro, l’accoglienza degli immigrati, la famiglia, il volontariato, la possibilità di instaurare nuove e buone pratiche, la necessità di raccontare diversamente la nostra realtà. Una serata che non ha soltanto accolto il pensiero di esponenti di primo piano della riflessione sociale cattolica, ma che ha preso spunto dalla riflessione sulle realtà del nostro territorio, in un cammino condiviso che ha condotto alla formulazione delle domande proposte ai relatori.
Il riferimento alla realtà si è poi fatto richiamo per una spiritualità che rifugga ogni equivoco. Paolo Martinelli (30 novembre), infatti, ha ricordato come Papa  Francesco inviti a vivere una vera spiritualità che ha un rapporto speciale con la carne. Ne consegue l’importanza della chiamata vocazionale per ogni cristiano, invitato a scoprire la pertinenza umana della parola vocazione, a intendere la vita come vocazione e ogni vocazione come ‘provocazione’. È ancora l’assunzione della reale, in tutta la sua complessità e materialità alla luce della rivelazione, a introdurre un concetto di bellezza diverso da quella della perfezione formale e di riflesso di una realtà superiore. Il gesuita Marko Ivan Rupnik (5 dicembre) ne ha parlato come esperienza concreta che raggiunge l’uomo materialmente, manifestata pienamente come amore donato così come l’ha espressa il Cristo crocifisso.

Comunicativi in ascolto

Comunicare e missione: un binomio sempre attuale che dice molto sulla realtà e sull’identità stessa della Chiesa. Giordano Frosini (13 ottobre), padre fondatore delle Settimane teologiche pistoiesi, ha individuato tre passaggi fondamentali della comunicazione che diventa missione. Il primo: dalle missioni alla missione, secondo la svolta promossa dal Concilio Vaticano II per cui «tutta la Chiesa è missionaria». Il secondo momento è quello indicato da Paolo VI nella sua Evangelii Nuntiandi, quando evidenziava la necessità di accompagnare l’annuncio missionario con la dottrina sociale della Chiesa. Il terzo momento, inaugurato da Giovanni Paolo II (Redemptoris Missio) ha indicato l’importanza dell’aspetto ecumenico, del necessario dialogo interreligioso e ascolto reciproco come «parte della missione evangelizzatrice della chiesa».
Dario Viganò richiamava ad una comunicazione autentica, che diventa missionaria perché vera e coinvolgente. «Davanti alla parole del Papa nessuno – ricordava Viganò a proposito dello stile di Papa Francesco – si sente fuori dal coinvolgimento. È lo stesso Vangelo, d’altronde, che non ha mai un tratto di inimicizia con l’umanità». Il linguaggio del papa, in gesti e parole, «ha la densità della sua interiorità, e i suoi gesti sono espressione di quanto ha dentro di sé». Adriano Fabris (24 novembre), infine, ripercorrendo i capitoli chiave della storia e del linguaggio dell’etica è approdato all’etica del linguaggio che crea nuove relazioni, spazi, ambiti di relazione e comunicazione.
Soltanto una traccia, certamente parziale, per tentare di ripercorrere il percorso dei ‘linguaggi del divino’ e non perdere di vista la ricchezza che ci è stata proposta.
Ugo Feraci