Uno sguardo su una relazione complicata attraverso le fragilità di oggi. In dialogo con Tiziano Lombardi.

di Daniela Raspollini

Tiziano Lombardi è docente di storia e filosofia presso il Liceo Forteguerri di Pistoia,  pedagogista e volontario del servizio psicopedagogico del Centro Sant’Anna.

Sembrerà banale chiederlo, ma perché la collaborazione tra scuola e famiglia è un presupposto fondamentale in un percorso educativo?

Ogni componente del percorso educativo di un ragazzo è fondamentale per la sua crescita e la sua formazione. In media un adolescente trascorre l’ottanta per cento del suo tempo tra la scuola e la famiglia; se queste due componenti educative non collaborano o peggio ancora inviano messaggi contraddittori, l’obiettivo pedagogico viene meno e il risultato non potrà che essere quello di creare disorientamento e mancanza di fiducia nei confronti del mondo adulto.

Secondo lei, come è cambiato nel tempo questo rapporto tra famiglia, scuola e ragazzi?

È cambiato quanto è cambiata la società. A volte si tende a pensare che “la scuola” o “la famiglia” siano due microcosmi a sè stante che possano andare avanti senza subire le influenze del mondo esterno. Non è così: scuola e famiglia sono il riflesso della nostra società. E i rapporti tra di loro sono influenzati dalla sua velocità di funzionamento. Faccio un esempio. Fino a pochi anni fa un ragazzo che veniva interrogato, tornava a casa e comunicava il voto ai genitori. Adesso un ragazzo che viene interrogato invia immediatamente un messaggio ai genitori per comunicare il risultato. Se prima poteva permettersi di nascondere un voto non eccelso anche per giorni, adesso con il registro elettronico costantemente monitorato dalla famiglia, non può più permetterselo. È tutto più veloce come più veloci sono i rapporti interpersonali e spesso quello che manca nel rapporto odierno tra scuola, famiglia e ragazzi sono i tempi di sedimentazione: se si ritiene che ci sia qualcosa che non va, non si perde tempo e si messaggia immediatamente l’insegnante. Il terrore più grande degli insegnanti elementari oggi, sono i gruppi di genitori su Whatsapp!

C’è una fragilità di fondo all’interno della nostra società che è sempre più evidente. Una fragilità che è figlia dei grandi cambiamenti culturali del nostro tempo. Noi europei viviamo in una società con una popolazione sempre più anziana dal punto di vista anagrafico ma che non è mai stata così giovanilistica. Ovvero, la linea di demarcazione tra la vita adulta e quella giovanile non è più marcata come una volta: gli adulti cercano di restare giovani il più a lungo possibile e i giovani si trovano senza più quelle prerogative che li rendevano “un mondo a parte”. Questo, insieme al passaggio dalla famiglia normativa alla famiglia affettiva, ha delle conseguenze sulle fragilità dei nostri ragazzi; basta analizzare i dati dei servizi di assistenza sanitaria che devono correre a sirene spiegate da un istituto scolastico all’altro per soccorrere i nostri ragazzi sofferenti di attacchi d’ansia. Quindi, ritornando alla domanda, il cambiamento che rilevo nel rapporto tra scuola, famiglia e ragazzi è una perdita di quei punti di riferimento che creavano una certa stabilità e che adesso creano elasticità. Gli elastici possono essere utili e divertenti, ma poco stabili.

 È proprio vero che ai ragazzi manca la passione per la scuola rispetto al passato?

Sinceramente una grande passione per la scuola non l’ho mai riscontrata nemmeno in passato. Forse c’era quando la scuola non era un obbligo ma una conquista; l’obbligatorietà inibisce qualunque passione. Non sentiremo mai nessuno dire “ho la passione per il violino perché mi obbligano a suonare”. I ragazzi le passioni ce l’hanno eccome e talvolta, fortunatamente, coincidono con un percorso di studi ben preciso; per questo è fondamentale non influenzare più di tanto le loro scelte scolastiche ma lasciare che possano provare ad esprimersi attraverso le loro aspirazioni.

Secondo la sua grande esperienza quali sono le problematiche più frequenti nel rapporto scuola, famiglia e ragazzi?

La scuola ha delle richieste ben precise legate alla performance e agli obiettivi didattici; la famiglia ha delle richieste in termini di aspettative; i ragazzi sono nel mezzo, a cercare di accontentare e di sopravvivere sia alla scuola sia alla famiglia. Dovremmo smetterla di analizzare gli adolescenti come se fossero una specie a parte. Gli adolescenti sono sempre gli stessi: hanno i brufoli, s’innamorano alla stessa velocità con cui si disinnamorano, hanno la testa tra le nuvole e prendono decisioni ormonali. Erano così prima che iniziassi ad insegnare e lo saranno anche dopo che avrò smesso. Secondo me dovremmo parlare meno di loro e chiedergli più spesso cosa ne pensano, come si sentono e di cosa hanno bisogno.