Catholics carry the World Youth Day cross during a visit to the Largo do Machado square in Rio de Janeiro, Brazil, Monday, July 15, 2013. Pope Francis will travel to Brazil and participate in World Youth Day events from July 22-28. (AP Photo/Felipe Dana)

di Maria Chiara Grieco

Nella sua lettera pastorale «…e di me sarete testimoni» il vescovo posa il suo sguardo sui giovani e si interroga su quali siano le loro “attese di Vangelo” – intese come «tutte quelle situazioni che manifestano un’attesa, un bisogno, la speranza di una notizia “davvero buona” che rinnovi la vita, dia pace e gioia, permetta di trovare un senso pieno alla propria esistenza» -; muovendo domande che scuotono nel profondo, che si riassumono nell’essenza di come far sì che sia vivo il dialogo e l’incontro tra i giovani e la Chiesa.

Siamo come insensibili al messaggio che la Chiesa prova a comunicarci, ma non per indifferenza, quanto per un’incapacità di ascoltare, come se si parlassero linguaggi diversi e non trovassimo le risorse per comprendere quel che l’altro ci dice e prova a trasmetterci. E quando qualcosa non la si sente propria, si tende a non annoverarla nel nostro orizzonte, finendo per considerarla lontana da noi. Così, non riusciamo a intravedere la grandiosità del messaggio che il Vangelo contiene, non cogliamo nella celebrazione della messa la natura prima di incontro, riteniamo la fede qualcosa di astratto e intangibile senza riuscire a viverla come una proposta e una scelta di vita, e siamo incapaci di scorgere la bellezza di quell’Amore che fa sentire amati e di avvertire la grazia scaturita dall’intuire che la vita è un dono e non un «evento che si consuma nell’evento», che ciò che facciamo non è senza un fine ma è inserito in un disegno più grande. Ma quando il dialogo nasce e l’incontro si realizza, allora l’incapacità muta in sorpresa, gli occhi si riempiono di stupore, il cuore si illumina di speranza e ci sentiamo abbracciati da quell’Amore ineffabile ma capace di trasformare l’ordinario in straordinario.