Nel reparto Covid, tra storie dolore e conversione

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Don Sebastiano – cappellano del San Jacopo – racconta l’esperienza nelle corsie d’ospedale, a fianco dei malati Dove anche la fede fa i conti con la sofferenza e la solitudine

DI DANIELA RASPOLLINI

Nella lotta al coronavirus ci sono tanti soldati. Una guerra inaspettata, drammatica. “Uno Tsunami”, il maremoto che tutto porta e annienta con la sua piena improvvisa. A combattere in prima linea ci sono gli operatori sanita- ri: medici, infermieri, operatori, volontari. Ma là dove finisce la scienza e rimane soltanto il grande mistero del dolore, ecco che arrivano i nostri sacerdoti. Don Sebastiano Nawej Mpoy, parroco a “La Vergine”, un popoloso quartiere poco fuori dal centro di Pistoia, è cappellano al San Jacopo, e dunque in prima linea nella guerra al Covid–19, nel sostegno e nella vicinanza ai malati del reparto. « Sono entrato in questo reparto di malattie infettive subito dopo l’inizio dell’emergenza per stare vicino ai malati e alla loro sofferenza, per accompagnarli con la preghiera, visitandoli ogni giorno nel loro letto di dolore – talvolta purtroppo – di morte».

Una situazione difficile per tutti, anche per chi ogni giorno, in corsia, vive a fianco dei malati e dei parenti la sofferenza della malattia: «vedendo da vicino questo dramma – confida don Sebastiano – la mia anima si sconvolge al punto che mi devo fermare e sostare davanti alla Croce di Cristo. Piango e rifletto, per trovare di nuovo la forza per andare avanti. Penso inoltre – continua – alle tante persone che hanno bisogno di me, di noi. Tra queste ci sono i parenti delle vittime che non possono vedere i loro cari e che hanno bisogno ogni giorno di essere informati e consolati. Pensando proprio a loro ritrovo l’energia necessaria per poter affrontare questa situazione». 

«Anche io come ogni essere umano ho paura, pertanto cerco di rispettare scrupolosamente tutte le disposizioni, le norme igieniche, eppure nonostante ciò il rischio rimane; siamo nelle mani di Dio». Il dolore cambia chiunque, anche chi per lo vive alla luce della speranza e della fede»

«Nell’esperienza vissuta nel reparto del Covid–19 – spiega don Sebastiano – la cosa che mi ha colpito di più è il fatto di non rivedere più l’ammalato che avevi visto il giorno precedente. Gli infermieri poi, ti dicono quelle frasi terribili, “non ce l’ha fatta”, con amarezza e sgomento. Nonostante il dolore devo andare avanti in mezzo a loro perché hanno bisogno di essere amati e confortati, fino alla fine. Questa malattia ha fatto tante vittime anche nella nostra città, tra queste purtroppo anche alcuni fedeli che conoscevo perché frequentavano la mia parrocchia». «Il mio servizio in ospedale in questo tempo in cui si è diffusa la pandemia – aggiunge – mi ha permesso di essere testimone di tante conversioni, tante confessioni avvenute anche nel momento estremo, quando l’anima si consegna a Dio. In quei momenti ho dimenticato qualsiasi forma di protezione personale prendendo le mani dei morenti per dare conforto e amore, per colmare il vuoto dell’assenza dei loro cari che non potevano essere lì in quel momento. Questi momenti li ho vissuti con tanta commozione e dolore».Non c’è soltanto la malattia a rendere questi giorni così drammatici, ma anche la solitudine e la distanza che devono sperimentare i familiari e gli amici dei malati: «Ogni giorno continuo il mio servizio per dare sostegno anche ai parenti degli ammalati che sono ricoverati. Quando esco dal reparto non riesco a distaccarmi da loro e continuo a pregare per la loro guarigione». «In questa situazione – conclude – credo sia davvero bello poter proseguire in questo nostro servizio per dare il nostro sostegno ai sofferenti. Cristo ha bisogno di noi, adesso ancora di più, per svolgere questo servizio di amore e carità».