di Samuel Pisani*

Approfittando dell’emergenza sanitaria passa una delibera per facilitare l’aborto

Riguardo la delibera depositata all’interno della giunta regionale della Toscana che prevedrebbe la possibilità di intraprendere l’aborto chimico implementando la procedura farmacologica e semplificando i percorsi, portando la somministrazione a livello territoriale nei soli poliambulatori e consultori, dico che ci troviamo di fronte a un’assurdità nell’assurdità. Sostengo questo perché leggo delle incompatibilità significative che cercherò di chiarire direttamente.

Dal punto di vista scientifico occorre tener conto del fatto che l’aborto chimico è un processo caratterizzato da più stadi, che si fonda sull’assunzione perlomeno di due principi attivi differenti, il mifepristone, ovvero l’RU486, e una R prostaglandina, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro. Il mifepristone è un farmaco antiprogestinico attivo come agente antiabortivo e anticoncezionale. È utilizzato per procurare la cessazione della vitalità dell’embrione entro i primi due mesi di gravidanza e può provocare estesi sanguinamenti uterini nonché possibile aborto incompleto. La prostaglandina di tipo F2a, invece, induce il travaglio e l’aborto attraverso la stimolazione della muscolatura uterina e partecipa alla terminazione della gravidanza causando la dissoluzione del corpo luteo, determinando cioè l’espulsione del “prodotto” abortivo.

Da un’ottica giuridica, le linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine emanate dal Ministero della Salute asseriscono che: «Nell’informazione utile al consenso deve essere fornita in modo chiaro l’informazione che l’aborto farmacologico potrà essere effettuato solo in ricovero ordinario, nella maggior parte dei casi della durata di tre giorni, fino cioè all’espulsione del materiale abortivo. È infatti fortemente sconsigliata la dimissione volontaria contro il parere dei medici prima del completamento di tutta la procedura perché in tal caso l’aborto potrebbe avvenire fuori dall’ospedale e comportare rischi anche seri per la salute della donna». Infine, da una prospettiva etica, occorre prima di tutto dire che strumentalizzare la questione della pandemia al fine di limitare gli accessi nelle strutture ospedaliere, non mi sembra leale, prudente né responsabile, visto che gli ospedali hanno l’onere di non mettere assolutamente in secondo piano gli altri servizi che esulano dal Covid–19.

Onestamente penso che la questione sollevata da tale delibera sia dovuta a due fattori. Il primo di tipo economico, giacché, data la scarsità attuale dei posti letto disponibili, risparmiare sui costi destinati a tali prestazioni sarebbe redditizio. Il secondo, ancor più paradossale, è di tipo ideologico, visto che la volontà di potenza da affermare sul proprio corpo e non solo, porta a velocizzare e facilitare le procedure abortive fino a trovarsi sostanzialmente di fronte a un aborto “fai da te”, scongiurato dagli stessi movimenti abortisti che rivendicavano quella che poi è diventata la legge 194/1978. Ed ecco che si ripresenta ancora quello che Lacan definiva il grande errore di sempre: «immaginarsi che gli esseri pensino ciò che dicono».

* bioeticista