Intervista esclusiva al vescovo Tardelli. Il giubileo e le sfide per la Chiesa locale

di Ugo Feraci

A gennaio 2021, nonostante la pandemia, si aprirà un tempo di grazia per tutta la Diocesi. In Cattedrale sarà aperta una Porta santa per i pellegrini e i fedeli che nel corso dei 12 mesi potranno rendere omaggio alla reliquia del santo apostolo. Sarà l’Anno Santo Iacobeo, festeggiato in parallelo con Santiago. Ne abbiamo parlato col vescovo Tardelli.

Eccellenza, il 2021 sarà un anno nel segno di San Giacomo apostolo. Com’è nata l’idea di istituire un anno giubilare sulla scia di quello Compostellano?

L’idea mi è nata riflettendo su quella particolarità tutta pistoiese che caratterizza la nostra chiesa: quella cioè di custodire dal 1145 una preziosa reliquia del corpo di San Giacomo, proveniente proprio da Santiago de Compostela. Devo dire che, fin dal momento della mia nomina a Vescovo di Pistoia, sono rimasto affascinato da questa storia antica che ha segnato profondamente le vicende della città, lasciando una traccia indelebile nell’animo e nella cultura di questo popolo. Mi son detto che niente è per caso, che tutto invece può avere un significato e racchiudere un messaggio del Signore. Ecco allora che presentandosi imminente l’anno santo iacobeo, mi è parso che potesse essere anche per noi una bellissima occasione per riscoprire la testimonianza di un apostolo, rinverdire la nostra fede nel Signore, rilanciarsi ancora di nuovo sulle vie della carità operosa e della missione evangelica.

Per l’emergenza Covid non sappiamo ancora come vivremo il prossimo anno. Cosa toglie o aggiunge, la pandemia a questa iniziativa?

La pandemia è stata la sorpresa di questo tempo. Ci ha costretto e ci costringe a ridimensionare i progetti, anzi direi quasi ad azzerarli, dovendo “navigare a vista”, come si dice. Dovremo per forza di cose ridurre certe manifestazioni esterne. E quelle che riusciremo a fare, dovremo gestirle sempre con molta attenzione, almeno ancora per un po’ di tempo. Ciononostante, proprio di questi tempi, credo che celebrare un anno santo sia qualcosa di provvidenziale. Con la pandemia siamo stati messi di fonte al dolore, alla morte, alla nostra umana impotenza e insieme grandezza; siamo spinti a guardare alle sorti del mondo e al futuro che vorremmo. Tutto questo ci costringe ad entrare più in profondità nelle cose, a guardare dentro noi stessi, a ripensare a tutta la nostra vita. E forse è proprio questo il senso di un anno santo.

In che cosa dovrebbe aiutarci l’anno iacobeo?

Può essere davvero un tempo di ripensamento interiore; un tempo cioè di conversione; per riporsi le domande di fondo sulla vita; un tempo anche di potatura sicuramente, per buttar via il superfluo e tutte quelle incrostazioni che le nostre debolezze e i nostri peccati ci lasciano addosso; un tempo anche per riscoprire il valore del prossimo e quanto sia importante prendersi cura l’uno dell’altro e insieme, della casa comune; un tempo infine anche per imparare a condividere le tante sofferenze che questa pandemia ha portato e sta portando alla luce.

In questi anni da vescovo a Pistoia che idea si è fatto del rapporto tra i pistoiesi e il loro patrono?

Indubbiamente un legame c’è e si avverte. Non è indifferente la città a San Jacopo e quello che si fa non è pura formalità. È anche sentimento, attaccamento alla propria storia, al patrimonio umano della città. Nello stesso tempo però ho come l’impressione che il riferimento sia giocato quasi esclusivamente sul piano sociologico. Molto meno invece su quello più propriamente religioso. Nemmeno si esprime in forme particolari di devozione che molto probabilmente furono stroncate al tempo del vescovo Ricci, il cui influsso sulla diocesi è continuato ben oltre il suo episcopato. Questo però alla fine sarebbe poco male, anzi. Il fatto è che anche la dimensione più genuina, quella cioè della testimonianza cristiana, quella di un riferimento forte, evangelico e caritativo alla figura dell’apostolo Giacomo non è molto presente. Anche per questo motivo ho inteso promuovere un anno santo iacobeo.

Quali sono a suo avviso, le necessità più stringenti per la Chiesa pistoiese?

Intanto una cosa: il riferimento a San Jacopo dovrebbe essere più sentito da parte di tutta la diocesi. Così non è perché un’ampia parte di essa grava su Prato o Firenze e quindi è portata ad avvertire poco la figura di San Giacomo che è molto “pistoiese”. Aldilà di questo, vedo sempre più urgente ritrovare una fede viva, sentita, personale, gioiosa e missionaria. Poi è necessario rivitalizzare le comunità parrocchiali perché siano meno burocratiche e più calde di fraternità e di corresponsabilità; perché ci siano più spazi di familiarità aperta all’accoglienza fraterna. In tale prospettiva occorre rivedere la modalità di presenza e testimonianza della Chiesa nei territori: meno clericale, più viva e nuova anche rispetto alla forma tradizionale delle parrocchie. Vedo inoltre la necessità di una maggiore attenzione ai problemi del territorio, al mondo del lavoro, della cultura, dei giovani, al mondo del disagio e della sofferenza; in sostanza, di un dialogo più attento con la società, anche in chiave missionaria e di annuncio della novità del regno di Dio. Infine, mi pare necessario imparare a camminare insieme. La Diocesi è fatta di popoli e territori diversi e fa fatica a pensarsi come un insieme, anche a motivo di una accentuata tendenza all’individualismo.

(foto di Tommaso Lombardi)