Un momento storico per la diocesi di Pistoia. Una serata indimenticabile che ha il sapore di una rinascita in un tempo difficile

di Alice Peloni

Tanta voglia di rinascita e di riprendere il cammino: dopo l’anno difficile che il mondo si è lasciato alle spalle, l’apertura della Porta Santa a Pistoia -avvenuta il 9 gennaio nel corso della celebrazione in programma alle 18.15- giunge come un invito a sperare e a mettersi in azione affinché questo anno santo diventi vero motore di cambiamento fuori e dentro di noi, rinnovando ciascuno nel rapporto con se stesso, con la comunità e con Dio.

Tramite la Penitenzieria Apostolica Papa Francesco ha concesso di celebrare l’Anno Santo anche a Pistoia, dove si conserva una reliquia di San Giacomo, donata nel 1145 a Pistoia dalla città di Santiago, oltre che a Santiago di Compostela, che costudisce le spoglie del santo, e di ottenere l’indulgenza plenaria attraversando la Porta Santa della Cattedrale di San Zeno. L’Anno Santo Iacopeo si concluderà il 27 dicembre e avrà il suo fulcro nella festa del 25 luglio. In questo momento delicato, che non ammette spostamenti, diventa ancora più impellente la necessità di un pellegrinaggio che sia, in primis, un viaggio dell’anima: come il Vescovo Fausto Tardelli ha scritto nella sua ultima lettera pastorale, l’anno santo rappresenta l’occasione «Per rivedere il nostro rapporto col Signore nell’ascolto più attento della sua Parola, con una preghiera più vera e autentica e per ripensare tante cose della nostra vita e delle nostre comunità; per buttar via il superfluo e radicarci sull’essenziale; per comprendere sempre di più che è solo nell’amore che si salva il mondo, imparando a prenderci concreta cura l’uno dell’altro e della casa comune».

Se il Covid ci ha lasciato, insieme a tanto dolore, anche il tempo per poter lavorare su noi stessi, l’Anno Santo Iacopeo ci invita a recuperare la bellezza della dimensione conviviale nel segno di nuove consapevolezze. Un’esigenza che si fa sentire in particolare nelle generazioni più giovani, che trovano nella condivisione con i coetanei il terreno più fertile per mettere a frutto quell’amore incarnato proprio da Giacomo, il primo Apostolo a dare la vita per Cristo. Questo momento potrà dunque davvero indirizzare i cuori ancora acerbi delle nuove generazioni verso i valori di fedeltà e coerenza, affinchè si realizzi in loro la necessità di avere qualcosa per cui valga la pena vivere e anche morire. Non si tratta di mera spiritualità o di un precetto astratto e fine a se stesso, ma di un’invito ad agire per cambiare le cose sotto la guida dell’amore di Cristo: e chi se non i giovani potranno diventare gli artefici di un simile rinnovamento attraverso l’impegno concreto nella società, testimoniando il messaggio di Gesù nelle scelte quotidiane, nei nostri stessi principi etici?

Ma non c’è solo una pars construens: è giunto il momento, come ha detto Tardelli durante la celebrazione, di «buttar via il superfluo e tutte quelle incrostazioni che le nostre debolezze e i nostri peccati ci lasciano addosso». E forse è questa la sfida più difficile: lasciarci indietro una volta per tutte un passato fatto di peccato che grava sulle nostre spalle, che opprime le nostre anime, ma che in fondo non abbiamo davvero il coraggio di abbandonare. Tardelli ha sottolineato come «Può essere davvero un tempo di ripensamento interiore; un tempo cioè di conversione» per accogliere Cristo con un cuore nuovo, finalmente leggero, guardare negli occhi la persona che siamo stati e dirle finalmente addio per iniziare un cammino non più immerso nell’oscurità e segnato dalla solitudine, ma illuminato dalla luce della fede.

Oggi la figura di San Giacomo può davvero diventare l’emblema di un pellegrinaggio interiore che possa portarci a non aver paura dell’ignoto e quindi ad avere il coraggio di cercare, di andare, di non arrendersi mai, affrontando definitivamente quest’inferno fiduciosi che, prima o poi, anche a noi sarà concesso dire: «E quindi uscimmo a rivederle stelle».