Ripensare i ministeri

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Anche le donne avranno finalmente accesso al lettorato e all’accolitato
L’occasione per ripensare il valore del proprio sacerdozio battesimale

di Alessio Bartolini

Il 10 gennaio 2020, festa liturgica del Battesimo di Gesù, il Santo Padre Francesco, con la lettera apostolica Spiritus Domini, decretava la sua volontà di modificare il testo del canone 230 § 1 del codice di diritto canonico. Il primo comma del già citato canone 230 è quello relativo ai ministeri istituiti del lettorato e accolitato, un tempo facenti parte dei cosiddetti “ordini minori”, e riservati fino ad oggi ai soli laici di sesso maschile, ai quali il Papa ha finalmente consentito l’accesso anche alle donne.

L’argomento, a me caro, sul quale ho avuto l’opportunità di studiare e riflettere negli anni dello studio accademico, ci riporta a considerare, come fatto di cruciale importanza, la questione dei carismi e della ministerialità nella vita della Chiesa, nella liturgia, nella pastorale e nell’evangelizzazione. Non si tratta di “quote rosa” o di conquista da parte delle donne di un posto sull’altare, ma si tratta di ripensare con grande serietà ai ministeri dei laici,  non solo al fatto che forse domani avremo delle donne in camice bianco nei nostri presbiteri ma di tornare al significato che quel camice richiama: la veste bianca che tutti noi abbiamo ricevuto quando siamo stati battezzati.

Ecco il nodo fondamentale del dibattito sui ministeri, la radice su cui essi germogliano e crescono e portano frutto per il bene della Chiesa: il Battesimo. È dal battesimo che scaturiscono i carismi, i doni, che lo Spirito Santo,  «che è Signore e da la vita» (simbolo Niceno-Costantinopolitano), distribuisce ai membri del popolo di Dio e che permettono a ciascuno, in modo diverso, di contribuire all’edificazione della Chiesa. Questi carismi, scrive Papa Francesco, sono chiamati ministeri, in quanto sono pubblicamente riconosciuti ed istituiti dalla Chiesa, e sono messi a disposizione della comunità e della sua missione in forma stabile.

E qui arrivano le prime obiezioni: allora se è vero che lettorato e accolitato sono spesso servizi svolti “di fatto” sia da uomini che da donne no si poteva fare a meno di istituzionalizzarli con un rito liturgico e magari, questa la grande paura di tanti, di clericalizzarli, mettendo loro addosso un abito specifico? Forse è bene riconsiderare quanto già il Santo pontefice Paolo VI intendeva fare quando nel 1972 pubblicò il motu proprio Ministeria quædam con il quale aprì ai fedeli laici i rinnovati ministeri di lettore e accolito che andavano a sostituire i cosiddetti “ordini minori” e che intese rendere stabili e permanenti. Certo rendere operativo e fruttuoso questo dettato magisteriale si è rivelato molto faticoso nella Chiesa del post-concilio, soprattutto in Italia dove i ministeri sono rimasti per anni soltanto tappe “pedagogico-pastorali” nel cammino dei seminaristi o dei candidati al diaconato.

Allora leggere e mettere in pratica Spiritus Domini, richiede un cambio di paradigma nella nostra vita di Chiesa, perché si istituzionalizza, con un rito liturgico presieduto dal vescovo, ciò che si è e non ciò che si fa. È mettersi in ascolto della Parola illuminati dallo Spirito, per essere davvero una Chiesa tutta ministeriale, una comunità fraterna e missionaria, nella quale non tutti fanno tutto, ma in cui si fa un serio e genuino discernimento sui carismi che il Signore, a larghe mani, continua a dispensare ai battezzati, uomini e donne, per il bene della Chiesa e per l’edificazione del suo Regno.