di Francesco Cianci

Sfogliando un libro d’arte, un’immagine si schiude davanti ai miei occhi. È un dipinto a olio su tela di Vincent Van Gogh, sul quale sono raffigurati rami di mandorlo in fiore (1890), intessuti di un bianco e di un rosa tenue, che si stagliano leggeri verso un cielo sfumato di turchese. E davanti a tale sublime visione mi ritorna in mente una biblica parola, tratta dal libro del profeta Geremia, che suona così: «“Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”» (1,11-12).
Sono versetti davvero curiosi questi. Infatti, nel brano in questione traspare una inverosimile quanto incomprensibile associazione tra il mandorlo e l’atto del vigilare di Dio. Eppure, scavando al fondo del linguaggio biblico originale, si scopre una particolare assonanza tra i termini in causa che, alla luce del testo sacro, si intrecciano tra loro con una profondità semantica capace di aprirsi a immensi orizzonti spirituali.

Infatti, in ebraico, «mandorlo» si dice shaqed, che letteralmente significa “sentinella vigilante”, la cui radice etimologica è da scorgersi in un morfema – reso dalle lettere shin, qof e dàlet – che è alla base del quasi omologo verbo shaqad, “vigilare, essere attenti, osservare”, usato da Dio nel descrivere il suo atto di vigilare sulla parola. Ora, poiché il mandorlo è il primo albero a fiorire fra tutti gli altri alberi di Israele, annunciando con i suoi fiori l’arrivo della primavera, così come è anche l’ultimo a perdere le foglie con l’affacciarsi dell’autunno, esso evoca una sentinella che vigila sullo scorrere delle stagioni, al pari di Dio che vigila sulla sua parola, la quale nel tempo prestabilito non potrà che fiorire come un mandorlo e, sbocciando, diventare realtà.

Con un gioco di parole, quindi, il linguaggio biblico originale ci restituisce un senso teologico profondo che è quello della parola di Dio, nella quale è addensata una numinosa dimensione profetica. Una realtà che Geremia conosce fin troppo bene: egli, infatti, non potrebbe essere il profeta di Dio se la parola da lui stesso proclamata nel nome dell’Eterno non producesse frutto, a mo’ di un fiore spuntato su un ramo di mandorlo. Perciò, in tutto il testo sacro risuona, come in una litania, l’invito ad ascoltare la parola del Signore, perché essa a tempo debito si realizzerà.

La parola di Dio, infatti, non viene mai meno e Dio non delude mai le attese di coloro che confidano nella sua parola, perché in quella parola è racchiusa quella stessa promessa fatta al profeta Geremia, simboleggiata dalla fioritura di un mandorlo. Una realtà che lo scrittore greco Nikos Kazantzakis ci consegna, con una profondità iconica di una bellezza rara, in un verso di una sua poesia, quando, dopo avere svelato i suoi nudi pensieri su un foglio, ebbe a scrivere queste parole: «La quercia chiese al mandorlo: “Parlami di Dio”. E il mandorlo fiorì».

Allora, quando tutto intorno e dentro noi sembra sfiorire alla vita, come in un inverno sbiadito di colori e di foglie secche trasportate qua e là dal soffio dei venti gelidi della nostra esistenza, basterebbe sedersi accanto ad un mandorlo e, a mo’ di una quercia, sentiremmo risuonare nel nostro cuore l’eterna parola che incessantemente ci parla e sempre ci rassicura che essa si realizzerà nella nostra vita: perché Dio è shoqed, “colui che vigila” come una sentinella sulla sua parola. In fondo, un ramo di mandorlo in fiore ci ricorda che ogni inverno è destinato a finire e a lasciare il posto alla primavera che verrà.