Per ricordare la Chiesa che soffre

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Dal 1° al 6 settembre è presente a Pistoia una statua della Madonna proveniente dalla Piana di Ninive, sfregiata dall’Isis. Una testimonianza e una richiesta di aiuto

di Daniela Raspollini

C’è una chiesa che soffre la persecuzione e la discriminazione. Una chiesa che sentiamo talvolta lontana, spesso poco presente anche nella grande comunicazione. Nella parrocchia di San Biagio a Pistoia c’è l’opportunità di confrontarsi da vicino con le sofferenze subite da tante sorelle e fratelli credenti in Cristo. Dall’inizio del mese di settembre fino a lunedì 6, è presente una statua della Madonna proveniente da Batnaya, una delle cittadine della piana di Ninive in Iraq segnata dalla violenza fondamentalista.

Ci aiuta a conoscerne la storia e il senso della sua presenza a Pistoia Maurizio Giammusso, responsabile per il Nord Italia e Toscana della Fondazione Pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. «La statua — spiega Giammusso — è stata raccolta dalla mano di un parroco di Batnaya, dove si trovava in origine, una delle cittadine devastate dall’Isis nel periodo 2014–2016. Realizzata in materiale fragile era stata distrutta in più pezzi. Un colpo netto sul collo dice tutto circa l’odio portato alla immagine della Madre di Dio. Qui in Italia sapienti artigiani brianzoli e la tenerezza di un parroco locale hanno reso possibile il ripristino del manufatto danneggiato e l’avvio del pellegrinaggio, sotto una prima benedizione dell’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini il 17 giugno 2021».

Il restauro della statua violata, racconta anche il faticoso cammino di ricostruzione della comunità cristiana dopo le violenze dei fondamentalisti. «Per quanto riguarda lo sforzo di ricostruzione delle case e delle centinaia di chiese distrutte intorno a Mosul, Acs — spiega Giammusso — ha coordinato una imponente opera di raccolta fondi e ricostruzione, tuttora in corso, che vale, ad oggi, oltre 40 milioni di Euro raccolti ed erogati. Oltre la metà delle 14.000 abitazioni distrutte sono oggi ricostruite, il che consente ad oltre metà dei circa 120.000 sfollati di rientrare finalmente nella loro terra. È commovente ed emblematico vedere come le prime ricostruzioni abbiano riguardato le chiese e solo dopo le case, per volere degli stessi sfollati. Questo dice molto, nei fatti, circa l’ordine delle priorità che quei cristiani danno alla fede e ai suoi luoghi, e credo dovrebbe fare riflettere anche noi. Il futuro è caratterizzato dal permanere di palesi e odiose discriminazioni nel campo del diritto civile e di famiglia e nell’accesso alla educazione e al lavoro, e da una generale instabilità del quadro politico-istituzionale del paese che comporta ridotte prospettive occupazionali, specialmente per i cristiani».

Ieri l’Iraq, oggi l’Afghanistan: la piaga del fondamentalismo continua a fare vittime. «La nuova situazione in Afghanistan di feroce caccia all’uomo ai danni del Cristianesimo e più semplicemente di odio per la civiltà e per l’uomo, e il conseguente esodo di massa, ci ricordano — prosegue – che la Storia purtroppo può ripetersi. Pertanto credo sia irrinunciabile porre attenzione alla sorte a cui vanno incontro migliaia di cristiani ogni anno a motivo della Fede. Un proverbio Africano dice che non ricordare un morto è come ucciderlo due volte. Fare memoria di chi ha perso la vita perché ha voluto restare fedele a Cristo ha tre valenze. È un atto di giustizia dovuto, nei confronti di chi ha vissuto in modo esemplare, cioè eroico la propria appartenenza a Cristo. In secondo luogo aiuta noi, cristiani “in pantofole”, ad apprezzare meglio il valore della nostra fede. Infine questo far memoria è un tener desto il cuore e la testa e aperti gli occhi circa il futuro: ovunque ci sarà la Chiesa ci saranno fratelli di fede che pagano con il sangue. Non dobbiamo però essere impassibili, o rassegnarci, o dimenticare. La preghiera che si leva intorno alla statua della Madonna di Batnaya dice anche “Signore, proteggi chi oggi o domani soffrirà per la fede, in Iraq come altrove”».

Ad oggi la situazione in Iraq, come ha segnalato anche il viaggio del Papa, sembra segnata da una maggiore tranquillità. Molti però sono i cristiani fuggiti dal proprio paese. «Non esistono cifre precise circa il numero di cristiani in Iraq. Dal 2000 ad oggi, in venti anni, — spiega Giammusso — la popolazione cristiana dell’Iraq è scesa dal 3% del totale del Paese allo 0.5%, grosso modo da 1.5 milioni a meno di 300.000 persone: una decimazione. Durante la persecuzione dell’Isis molti sono fuggiti in Nord Europa, Germania, Canada, Stati Uniti. Vi è, ad esempio, una grandissima presenza di cristiani Caldei a Detroit e San Diego. Anche oggi, dopo la fine della persecuzione violenta, continua l’emigrazione all’estero di iracheni di fede cristiana, cosa che, a sua volta, non aiuta la Chiesa locale che resta sempre più minoritaria, pressochè sulla soglia della totale estinzione».

Aiuto alla Chiesa che soffre è particolarmente attenta a sostenere le popolazioni locali. «Dentro il grande sforzo di ricostruzione già citato vorrei menzionare il progetto, tra i tanti, che abbiamo associato a questo pellegrinaggio. Si tratta della ricostruzione di un asilo a Batnaya, da dove proviene la statua, gestito dalla locale comunità di Suore Domenicane, tutte irachene. Era stato costruito nel 2010 ed ospitava 124 bambini. È stato raso al suolo dall’Isis nel 2015. Le suore lo stanno ricostruendo identico a prima con il contributo dei benefattori di Acs Italia. Il progetto vale 215.000 euro. Al momento abbiamo raccolto circa 135.000 euro dai tanti benefattori di Acs: ogni Parrocchia che aderisce sta contribuendo generosamente alla raccolta e sono certo che arriveremo al 100% del fabbisogno».