Addio a don Umberto Guidotti che ha dedicato quarant’anni alla missione

di Ugo Feraci

Amava definirsi “Salmão” perché come i salmoni — ricorda Nadia Vettori, amica di sempre — amava andare controcorrente e affrontare di petto ogni difficoltà per tutto e tutti. Lunedì 10 ottobre, per don Umberto Guidotti è arrivato il momento dell’ultima e più misteriosa “risalita”. Aveva 80 anni e 40 li aveva vissuti in missione, quasi tutti in Brasile. Gli ultimi, un po’ per la malattia, un po’ per le limitazioni del Covid, li ha trascorsi in Seminario a Pistoia, accompagnato dalle visite di pochi ma fedeli amici e parenti. Per le esequie in Cattedrale, celebrate martedì 12 ottobre, c’erano tutti o quasi, gli amici di sempre, i familiari, quanti lo hanno seguito nei suoi anni di missione e ritrovato al suo ritorno in Italia.

Don Umberto, nato a Comeana nel 1941, era stato ordinato presbitero nel 1965. Ma la sua vocazione di prete fidei donum era germogliata prima, fin dall’infanzia, quando cominciò a domandarsi che cosa voleva fare della propria vita. Una volta prete, fu cappellano alla parrocchia di San Vitale e vicerettore del Seminario di Pistoia. Qualche anno prima un altro vicerettore, Cesare Florio era partito per il Brasile, lasciando una profonda impressione nel giovane Umberto. Con l’accordo del vescovo Mons. Mario Longo Dorni sarebbe approdato in Brasile sul finire del 1974, anno in cui sorgeva a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia, la Missão Pistoia. Con lui partiva Nadia Vettori, missionaria laica che avrebbe condiviso una vita intera a servizio della Chiesa brasiliana. Negli anni lo avrebbero accompagnato e seguito altri: don Enzo Benesperi, don Giovanni Scremin, pur per poco tempo don Carlo Goffredi, Berta Cavicchi, amici pistoiesi laici e presbiteri per visite più o meno lunghe, come don Giordano Frosini e lo stesso vescovo Longo Dorni.

Da sinistra: don Umberto Guidotti, don Enzo Benesperi, mons. Longo Dorni, Cesare Florio

L’impegno di don Umberto si diresse su diverse piste: dall’incontro con la colonia di lebbrosi di Paricatuba, per i quali fece di tutto per favorire l’inclusione e una rinnovata dignità (al punto da chiedere con tanto di raccolta firme e appello all’Oms di chiamarli, dal nome del medico che ne scoprì le cause cliniche, “hanseniani”), alla pastorale nei confronti degli ultimi e al lavoro per la promozione umana. Nel 1983 don Umberto fu infatti chiamato dai vescovi brasiliani a coordinare la Commissione della pastorale della terra per l’Amazzonia Occidentale a fianco dei senza terra. In Brasile furono anni di profonde ingiustizie e violenze perpetrate dai latifondisti contro i più poveri e gli indios, minacciati da una sempre più agguerrita e ampia politica di sfruttamento dell’Amazzonia. Svolte che lo portarono a un impegno ancora più ampio, come responsabile del Centro di difesa dei Diritti Umani, creato dai vescovi dell’Amazzonia occidentale. Don Umberto denunciò con fermezza il tentativo di militarizzare l’Amazzonia condotto dal governo brasiliano, poi i soprusi della polizia e la corruzione della politica locale, mettendo a repentaglio la propria vita. Negli anni novanta le minacce si fecero così gravi da suscitare un vero e proprio caso diplomatico in cui dovette intervenire il ministero degli esteri italiano.

Sempre accanto alla gente, nella catechesi, come nella promozione umana, don Umberto insisteva su quelle priorità che indicava nelle “3 P”: il Povero, il Pane, la Parola. Ma il suo servizio alla Chiesa brasiliana è stato generoso anche nell’ambito della formazione. Dal 2004 al 2014 Umberto ha insegnato etica sociale e bioetica a Balsas, a S. Luis do Marañhao è stato responsabile dei corsi di formazione socio-politica e dottrina Sociale della Chiesa.

Don Guidotti ha avuto un’altra esperienza pastorale significativa in Mozambico, dove è stato all’inizio degli anni duemila «per ripagare il fatto — diceva — che il babbo, in Africa, c’è andato a fare la guerra. Io vorrei portare aiuto e pace».

Nel 2015, quando per le prime avvisaglie del morbo di Parkinson faceva ritorno dal Brasile, ancora affascinato dall’eterna novità del Vangelo e sempre controcorrente scriveva: «Sono ancora un sognatore che pensa e un pensatore che sogna: un altro mondo è possibile. È possibile una Chiesa più simile al Regno di Dio».