Mezz’ora di una rete nazionale, addirittura del servizio pubblico, interamente dedicata a Pistoia. No, non è un risultato da ascrivere ad un “amarcord” dell’annata da capitale italiana della cultura, ma – purtroppo – a tutt’altra motivazione. La eco che si è propagata sul territorio nei giorni successivi alla messa in onda dell’approfondimento a cura della redazione di Report, incentrata sull’utilizzo di alcuni diserbanti nelle attività vivaistiche, è stata molto pistoiese: pressoché nulla.

Senza voler andare a scandagliare in questa sede il merito tecnico-scientifico della vicenda, quello che è emerso – dovuto forse anche alla vicinanza narrativa con la non rassicurante esperienza dei noccioleti del viterbese – è senza dubbio un grosso ed indistinto caos. Innanzitutto un caos normativo che mette in contrasto tre livelli istituzionali, tutti e tre chiamati a legiferare – a vario titolo – sulla stessa materia.

Una confusione non risolta pienamente in nessuna delle testimonianze raccolte, risultato da un lato sicuramente influenzato dalla brevità e la sintesi operata in occasione della messa in onda da parte della redazione, ma d’altro canto anche a leggere gli atti – tutti pubblici e consultabili nelle varie sezioni riservate a questo tipo di documenti nei siti istituzionali degli enti – tanti sono i punti di conflitto. Un conflitto acuito dalla sottolineatura giudiziaria, con la citazione dell’inchiesta dello scorso marzo, proprio incentrata sul presunto utilizzo di prodotti non utilizzabili da parte di alcune realtà vivaistiche del territorio, scomparsa a sua volta dai radar dell’informazione (su queste pagine ne riparlavamo qualche settimana fa a proposito della settimana sociale di Taranto e di come sia indissolubile il legame tra lavoro, ambiente e futuro).

Un conflitto da cui, pur pesantemente coinvolta, si è tirata fuori la Regione Toscana, il cui silenzio è risultato gravoso visto il ruolo da protagonista nella vicenda, gravità approfondita attraverso una realtà di sua gestione, l’Arpat, a sua volta in silenzio. Quest’ultima realtà avrebbe potuto, immaginiamo, replicare quanto riportato già lo scorso anno a proposito del report (alle volte le coincidenze si nascondono anche nelle piccole cose) presentato nel luglio 2020 sui fitofarmaci nelle acque del territorio pistoiese. Tutto pubblico, inserito anche in un comunicato stampa consultabile da chiunque in ogni momento con un collegamento ad internet. In un passaggio di quel testo Arpat sottolineava come sia «possibile affermare che il superamento degli Standard di Qualità ha interessato un significativo gruppo di corpi idrici, per i quali sussiste un concreto rischio di non raggiungimento degli obiettivi di qualità previsti dalla normativa comunitaria, nazionale e regionale. Si fa presente che diversi obiettivi non raggiunti sono stati già oggetto di proroga, con scadenza prevista per il 2021». Replicarlo davanti ai microfoni, però, avrebbe quantomeno comprovato la confusione istituzionale, dato che – ci consentano tutte le parti in causa – sembra non confutabile.

Il tutto però, a distanza di qualche giorno, sembra essere passato in sordina, accantonato se non per sporadici distinguo, pur essendo una parte rilevante – l’utilizzo di prodotti chimici che rischiano di compromettere lo stato di salute del pianeta e dell’uomo – della tanto attesa “svolta green” così di moda nelle narrazioni mediatiche a scarso impegno, richiesta al mondo dell’impresa e sospinto in occasioni pubbliche da quegli stessi livelli istituzionali che, messi davanti ad una problematica tangibile, latita o si mostra confuso.

Quindi, cosa resta? Resta una sensazione di incompiuto, di una strana non necessità ad essere chiari, alla netta volontà di voler e dover passare oltre.

Dario Cafiero