Per la diocesi è il primo Sinodo dal 1937 Per il vescovo Fausto la vera sfida è proporre un cammino autentico ed essere testimoni attenti e credibili di una fede concreta.

Un momento fondamentale del cammino sinodale sarà la veglia di Pentecoste a giugno in Piazza Duomo

Il 2022 sarà l’anno del Sinodo. Un momento storico per tutta la chiesa che vuole cercare davvero di uscire e ripensare la propria presenza nel mondo. Ne abbiamo parlato col vescovo Tardelli.

La chiesa universale è al lavoro per il prossimo sinodo dei vescovi dedicato al tema della sinodalità. Perché questo aspetto sta così a cuore a Papa Francesco? In che senso è decisivo per la chiesa di oggi?

Io credo che il motivo di fondo di questa insistenza e accentuazione, stia nella consapevolezza, fortissima nel Santo Padre, come l’ha potuta esprimere fin dall’inizio del suo pontificato, che in questo nostro mondo lacerato da contese e discordie, frantumato nelle ingiustizie e in preda a un grande individualismo, la testimonianza dei discepoli del Signore, quella della sua Chiesa, sia l’unità nella comunione. Un’unità fraterna, variegata e molteplice, segno nel mondo, di quel progetto di comunione e di amore che Dio ha sull’umanità. Sinodalità vuol dire infatti riscoprire il mandato originario della Chiesa che il Signore ha ben espresso nella sua preghiera al Padre, riportata nel vangelo di Giovanni: che siano una cosa sola perché il mondo creda. E si tratta di una urgenza, di qualcosa che sicuramente lo Spirito Santo sta chiedendo con forza alla Chiesa, perché gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di fiducia, di speranza, di amore vero e solo un’umile ma gioiosa fraternità di uomini e donne che hanno sperimentato la misericordia del Signore, può essere un’oasi di pace e di resurrezione della vita.

La diocesi di Pistoia come contribuirà a questo lavoro?

La chiesa pistoiese sta muovendosi già da un po’ di tempo per acquisire sempre di più uno stile sinodale, anche nella prospettiva della celebrazione del suo primo sinodo dopo il Concilio Vaticano II. Intanto, cercherà di dare un suo contributo di esperienza e di riflessione al Sinodo dei vescovi che la chiesa universale celebrerà nell’autunno del 2023, coinvolgendo, come sta già facendo, gli organismi di partecipazione della diocesi: il Consiglio pastorale diocesano, il Consiglio presbiterale, la consulta delle aggregazioni laicali. Sarà però principalmente lo stesso cammino sinodale della nostra diocesi a contribuire a quello della chiesa universale.

Tra le sue prime iniziative in diocesi ricordiamo la convocazione dell’Assemblea sinodale. In questi anni a suo avviso, ha portato frutto quella esperienza?

È mia convinzione che la chiesa voluta dal Signore è una comunità, una famiglia di fratelli che si amano e che insieme rispondono a Lui, per essere lievito di speranza dentro la pasta del mondo. Inviato a Pistoia dal Santo Padre, sentii perciò subito l’esigenza di promuovere quel “camminare insieme” che è appunto la sinodalità, coltivando un senso di appartenenza ecclesiale che nascesse dalla esperienza viva del soffio dello Spirito Santo che spinge alla comunione fraterna e alla missione. Da quell’assemblea sinodale, che fu davvero un bel segno di Dio, all’inizio del mio ministero, nacque il programma pastorale che ci ha fatto camminare insieme in questi anni. O che almeno ci ha smosso un po’. Lo ricordo: “Sulle ali dello Spirito: il Padre, i poveri, una comunità fraterna e missionaria”. Al quale programma, ha fatto poi seguito, sempre nel tentativo di camminare insieme: “Alla scuola dell’apostolo Giacomo: pregare, ripensare e continuare ad amare”. Io credo che qualche frutto ci sia stato. A me pare che la nostra chiesa in questi anni abbia cercato di camminare sulle vie del Signore e lo abbia fatto, seppur a volte con molta fatica, insieme.

Il sinodo della Chiesa universale si affianca a quello che anche la diocesi sta iniziando a elaborare. Perché proprio adesso un sinodo per la chiesa pistoiese?

Come ho già detto, fin dal mio ingresso a Pistoia ho pensato che fosse importante cercare di camminare insieme alla scuola del Signore. Superando divisioni e frammentarietà. Per essere una chiesa viva, capace di essere testimonianza significativa nei nostri territori. I segni dei tempi attraverso i quali lo Spirito di Dio ci parla, ci stanno facendo capire che la chiesa non è fatta solo dai ministri sacri, dai “chierici” cioè, che fanno tutto loro, accentrano tutto su di se, mentre il resto dei fedeli resta passivo spettatore di qualcosa portato avanti da altri. In forza del Battesimo e della Cresima, siamo tutti discepoli del Signore e condividiamo la stessa chiamata e la stessa missione. Mi è sembrato necessario, perciò, convocare tutte le varie componenti della chiesa diocesana, perché ci si sentisse quello che in realtà siamo, per la potenza dello Spirito: cioè un corpo organico e vitale. Un organismo vivente fatto di membra diverse, di doni e carismi dati per il bene comune; un popolo dove ministri sacri, laici, religiosi, camminano insieme per rispondere all’amore del Signore e al compito missionario da Lui affidatoci, nel rispetto della diversità dei compiti ma unificati dallo stesso amore. D’altra parte, l’ultimo sinodo della chiesa pistoiese risale al 1937 e non va bene, perché i sinodi sono si eventi particolari ma debbono essere ordinari nella vita della chiesa, soprattutto per alimentare quello stile sinodale che è caratteristica imprescindibile della testimonianza ecclesiale.

Come intende coinvolgere le comunità in questa iniziativa?

Il coinvolgimento non è facile. La stessa variegata configurazione geografica e culturale della Diocesi lo rende problematico. Dobbiamo poi vincere resistenze e abitudini isolazionistiche che si sono consolidate in decenni. La tendenza a rinchiudersi nel proprio orticello pensando così di essere più bravi o di poter fare le cose meglio, è presente. Oltre che a essere antistorica e sciocca, perché oggi come oggi, da soli non si va davvero da nessuna parte, questa tendenza contraddice la stessa natura della chiesa che è appunto sinodale, unitaria e comunionale. Un momento importantissimo di coinvolgimento corale, sarà la Pentecoste di questo anno, il 4 e il 5 di giugno. Lì, tutta intera la chiesa diocesana, a partire dalle parrocchie, fino ad arrivare ad ogni altra realtà, si metterà come gli apostoli nel cenacolo, ad invocare lo Spirito Santo, perché «Sine suo numine nihil est in homine, nihil est innoxium» («Senza il tuo soccorso nulla è nell’uomo, nulla senza colpa»). Il processo sinodale non si identifica infatti con un qualsiasi procedimento di tipo assembleare dove si conteggiano le varie opinioni. È invece ascolto dello Spirito, per capire, insieme, dove Egli vuole condurci. È evento dello Spirito e quindi ha bisogno di preghiera, di invocazione, di disponibilità alla sua azione. Guai a pensare che siamo noi a guidare la chiesa! Oltre a questo, per il coinvolgimento della intera diocesi, stiamo valorizzando al massimo i nostri mezzi di comunicazione. La recente riforma dei vicariati che, aumentandone il numero, ha reso inoltre più concreta e fattibile la collaborazione tra parrocchie vicine, è sicuramente un modo efficace di coinvolgimento. Molto importante sarà poi la realizzazione dei “gruppi sinodali” in ciascuna parrocchia o realtà ecclesiale per la consultazione del popolo di Dio e anche oltre. Non dimentichiamo infine che stiamo vivendo l’anno santo iacobeo: un’occasione davvero significativa per coinvolgere l’intera diocesi in un cammino comune che sia pellegrinaggio di fede, di speranza e di carità.

Quale peso potrebbe avere la pandemia in questo processo? Quali considerazioni possiamo delineare dal contesto che stiamo vivendo?

La pandemia ha avuto e ha un peso considerevole riguardo a ciò che ci siamo ripromessi. È indubbio. Ci ha costretto e ci costringe a rivedere tante cose, a cassare iniziative, rinviare appuntamenti. Nello stesso tempo però, credo che dobbiamo vedere in questa pandemia anche un segno evidente della nostra fragilità e quindi scorgervi un messaggio senz’altro duro ma importante. Chiamati come siamo, a essere lievito di speranza nel mondo, è proprio dal di dentro di una crisi così grande come quella della pandemia, che dobbiamo imparare a testimoniare ed annunciare il Vangelo, la “gioia del Vangelo”, come ci ha ricordato Papa Francesco nel suo documento programmatico Evangelii gaudium.

Il mondo laicale sembra aver accolto con grande interesse la proposta del sinodo e l’invito a riflettere sulla sinodalità. Ha anche lei questa impressione? Come la motiva?

Sì. È un’impressione che coglie la realtà dei fatti. Perché, seppure lo si sia detto tante volte in passato, è ora davvero il momento in cui i laici, donne e uomini, assumano con gioia il dono e la responsabilità di essere parte viva della chiesa. È venuto il tempo ormai, dopo tante tergiversazioni, che la grazia del Battesimo si esprima nella partecipazione plurale e gioiosa di tutto il popolo di Dio alla vita e alla missione della chiesa. Non si tratta di protagonismo: si tratta di essere in Cristo a servizio gli uni degli altri e, insieme, degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Ugo Feraci