La testimonianza di padre Lozinskyy prete greco cattolico di Muckachevo, diocesi nell’Ucraina occidentale

In Ucraina, prima della pandemia, accompagnato da una piccola delegazione pistoiese, il vescovo Tardelli aveva incontrato il vescovo della chiesa greco-cattolica Milan Šášik, con cui manteneva rapporti di buona amicizia. Šášik, scomparso prematuramente nel 2020 era eparca di Mukachevo, una località sul confine occidentale, non lontana dall’Ungheria. Proviene da quella diocesi Gregory Lozinskyy, prete greco-cattolico che attualmente presta servizio presso una parrocchia in Connecticut, negli Stati Uniti, ma che è stato a lungo studente in Italia, dove ha conseguito un dottorato al Pontificio Istituto Biblico di Roma.

Gregory è un prete sposato, come consente la chiesa grecocattolica, padre di due piccoli figli. In Ucraina vivono ancora i suoi genitori e i suoi parenti. «Pur vivendo lontano sono preoccupato per loro e sono molto contento di ricevere le loro notizie. La regione della Transcarpazia, dove abita la maggior parte della mia famiglia, è molto distante dall’Ucraina centrale e orientale. Ciò che vivono adesso è l’arrivo di molti rifugiati: alcuni si fermano in Transcarpazia, altri vanno nell’Unione Europea. Invece mia zia abita a Kherson e mia cugina a Kiev: entrambe le città sono continuamente sotto attacco. Mia zia, nel primo giorno di bombardamenti su Kherson, è rimasta fuori tutta la giornata per paura che un missile potesse distruggere la loro palazzina. Invece mia cugina al momento è chiusa nel suo appartamento a Kiev con la famiglia, da dove avvertono i rumori delle azioni militari. Mi dicono che la nostra preghiera dà loro un grande sostegno».

La situazione si è progressivamente aggravata in una sanguinosa escalation militare: «Ogni giorno — spiega — vengono bombardati sempre di più civili – ospedali, scuole, palazzine, la gente viene presa in ostaggio. Il mondo probabilmente è cauto nell’usare la parola genocidio, ma siamo in molti, tra gli ucraini, a utilizzarla oggi».

In questo conflitto fratricida anche le chiese cristiane sono messe alla prova: «La Chiesa vive un momento di autenticità: più che mai si può testimoniare il discepolato, ogni chiesa è sfidata in questo: ortodossi, cattolici, ma anche altre comunità religiose. È un’occasione per professare la fede correndo il rischio della propria vita. Ciò che ci aiuta oggi è guardare il crocifisso!».

Chi, come Gregory è lontano dall’Ucraina, può comunque impegnarsi in tre modi per portare sollievo al popolo in guerra: «in primo luogo attraverso la preghiera continua, perché sia civili che militari dicono di sentire la forza soprannaturale della preghiera. A volte penso che ogni Rosario che prego è una pallottola che “colpisce” qualcuno, ma senza ferirlo né ucciderlo. Secondo: testimoniando ciò che succede, perché chi non vive le situazioni dal di dentro non sempre può capire ciò che accade davvero: in Ucraina c’è la guerra, si registrano crimini di guerra, la gente muore. Terzo: aiutando con beni materiali la popolazione».

Con l’Ucraina nel cuore, Greg ha visto nascere i suoi figli negli Stati Uniti, dove ha potuto concludere i suoi studi e oggi è a servizio di molti emigrati del suo paese. Come spiegherebbe la guerra ai suoi figli? «Direi loro che nel mondo esiste il male, ma noi dobbiamo essere persone per bene, noi siamo servi del bene».

Ugo Feraci