C’è bisogno di superare l’individualismo e le chiusure tra comunità per imparare a lavorare insieme Occorre «abituarsi alla presenza di laici in attività che tradizionalmente si riservavano al parroco»

«La Chiesa, almeno quella locale, non è così “aperta”, così “in uscita” come vorrebbe papa Francesco. Per arrivare a vivere la sinodalità bisogna ritrovare prima di tutto i veri valori della comunità, di ogni comunità. Oggi prevale invece l’individualismo, la convinzione che ciascuno possa fare tutto quello che vuole e lo possa fare da solo». Dalle dinamiche parrocchiali a quelle personali il passo è breve, Carla Maria Desideri e suo marito Francesco Cecchini, catechisti del Belvedere, hanno chiari i rischi di una mancata sinodalità. «Anche a livello locale i parroci devono accogliere l’invito all’apertura, a fare comunità allargate, a fare squadra fra loro e con il “gregge”, individuando quelle che possono essere le proposte da fare alla realtà vicariale e poter coinvolgere i laici. Le comunità devono uscire dall’ombra del proprio campanile e aprirsi a un atteggiamento di progettazione comune senza sovrapporsi alle iniziative dell’altro andando in competizione. Se ogni comunità fa vita a sé, non c’è certo sinodalità e le parrocchie sono il primo livello che deve adeguarsi. Bisogna sconfessare il modo di dire “Ognuno fa parrocchia a sé”».

Un invito alla condivisione allo scambio che tiene conto della difficoltà presenti: «le risorse, sul territorio, sono poche. C’è bisogno di farne crescere di nuove, non bruciando quelle già presenti». «La parrocchia di Belvedere è nata con il quartiere ormai 60 anni fa e la Chiesa (prestigiosa fra l’altro) con il suo adiacente Circolo deve essere stata per tanti anni un importante punto di riferimento per le famiglie arrivate qui sul territorio senza proprie radici e che hanno dovuto creare da zero una Comunità. Da allora — spiegano Carla Maria e Francesco — sono passate almeno due generazioni; quanti erano arrivati negli anni ‘60 oggi sono persone anziane e alcune di esse continuano a frequentare la parrocchia. Solo in rari casi continuano a frequentare i più giovani (i figli e i nipoti di quella generazione). Inoltre sono presenti alcune comunità straniere, alcune di fede cattolica come quella albanese con cui occorrerebbe una più stretta integrazione ». «Una caratteristica della Parrocchia di Belvedere — proseguono – è quella di riunire persone residenti in territorio limitrofo rispetto a quella di stretta competenza della parrocchia stessa e, su queste persone si sta formando una Comunità “allargata”. Anche il nuovo Consiglio Pastorale, nominato sulla scorta delle indicazioni del Vescovo in tema di coinvolgimento di giovani e volti nuovi, si basa di fatto su un mix fra parrocchiani residenti e persone che frequentano la parrocchia stabilmente».

Un ruolo decisivo è quello svolto dai laici: «senza i laici la Chiesa sarebbe fine a se stessa e slegata dalla comunità. L’impegno dei laici deve essere stimolato dai pastori che devono individuare i piccoli “talenti” di ognuno e valorizzarli. Serve molta flessibilità e umiltà da entrambe le parti. Il parroco deve saper aprirsi alla collaborazione con i laici, accogliendo i diversi carismi e supervisionando l’operato senza pretendere che si limitino ad attuare delle direttive calate dall’alto. La comunità deve abituarsi alla presenza dei laici in mansioni e attività che tradizionalmente si riservavano al parroco o al diacono, apprezzando e accompagnando i laici impegnati e sostenendoli anche concretamente nelle attività più basiche ma altrettanto importanti (es. pulizia e decoro dei locali e della Chiesa, partecipazione attiva nella liturgia, etc.)».