Dopo la sentenza della Corte Suprema Usa si è scatenata una batteria planetaria di reazioni. Eppure questa inedita svolta della storia non sembra soltanto conseguenza di un agguerrito manipolo di vecchi e sovversivi ultra-conservatori. Gli Stati Uniti non sono l’Europa, tanto meno il nostro paese; un’ovvietà che va tenuta presente al momento di esprimere letture e giudizi, resta il fatto però, che il ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade rappresenta un vero e proprio scossone di una certa visione del mondo, spesso ritenuta l’unica accettabile.

Tra i pro-life, come segnala un post dell’Economist e un un sondaggio del Pew Research Center, ci sono anche giovani, le donne non stanno tutte nella trincea dei pro-choice, l’appartenenza religiosa ha un peso rilevante, le narrazioni avviate negli anni settanta non saturano l’orizzonte del sentire e del pensiero. Eppure qualcuno, come Europa Today di qualche giorno fa, parla già di lobby pro-life da mettere al bando in Europa. Curioso rovesciamento delle parti, per chi di lobby finora sentiva parlare ma da altre campane. 

Verrebbe da pensare che questa vicenda, come quanto è accaduto in Europa con le prese di posizione in materia di aborto del governo polacco, chieda a tutti di uscire dai propri arroccamenti. Il rischio è che la questione si isterilisca in un dibattito fatto di barricate, in cui si perde di vista l’essenziale, che non è soltanto la “salute riproduttiva della donna”, ma anche la dignità del concepito e, in definitiva, ciò è “umano”. Già, perchè la questione dei “diritti” (aborto, utero in affitto, eutanasia, suicidio assistito, questioni di genere), tra i pochi temi su cui sembrano doversi confrontare oggi i parlamenti occidentali, toccano le questioni decisive della vita (dall’identità, al nascere, al morire) e di ciò che per noi questa significa e vale. Una delle questioni urgenti di ogni democrazia oggi è avere il coraggio di affrontare la complessità, rendersi conto che non necessariamente civiltà e progresso avanzano su binari unici. Moralismi e posizioni politicamente corrette non aiutano nessuno, anzi, verrebbe da domandarsi se non siano altrettanto responsabili nel detrimento delle cosiddette “democrazie occidentali”. 

Chi crede non può accogliere l’aborto, è chiamato a educare, a proteggere la vita, specialmente quella di chi non ha modo di difendersi, a sostenere e accompagnare la donna. Ma la fede cattolica non vive nell’ottusità del fondamentalismo, ma nella tensione della complessità. L’alternativa è la semplificazione: da una parte di chi rimanda a una scelta personale sempre più intesa come “diritto individuale” punto e basta, in cui ogni altra parola è letta come inopportuna invasione di campo, giudizio di un sentire personale o, peggio, coercizione implicita della volontà altrui. Semplificare significa spesso relegare all’autonomia (solitudine) della donna una scelta comunque difficile, come attesta la crescita di aborti farmacologici o “l’inevitabilità” (sic!) dell’aborto nel caso di patologie del feto, o anche di sindrome di Down. C’è poi l’altra faccia della semplificazione, quella della cogenza di una legge che risolve ogni problema: per un verso l’aborto proibito dallo Stato, come se di colpo sparisse il problema, per un altro il crescente accanimento contro gli “obiettori di coscienza” che dovrebbero sottomettere ogni valore morale o religioso alla forza del diritto.

Poi però, ricordiamocelo, c’è il Vangelo. Di fronte a chi fa differenza tra embrione e bambino, tra concepito e figlio, l’incontro di Maria ed Elisabetta sgombra il campo ad ogni distinguo. Nel segreto del grembo materno agisce già lo Spirito, l’intuito del concepito precede la consapevolezza della madre, l’incontro personale è possibile già prima del parto. «Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). Di fronte al più debole, all’altro inteso come dono, creatura per cui il Signore ha versato il sangue della redenzione e donato senza riserve il proprio corpo il credente è chiamato a prendere posizione. «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). In un ribaltamento significativo Gesù ributta addosso a chi domanda la questione: tu che faresti? Riesci ad essere prossimo di chi incroci per la strada? Domande di fronte alle quali non c’è legge o sentenza che tengano.

Ugo Feraci