Sabato 23 ottobre si è svolto il Terzo Convegno Migrantes a cura della Diocesi di Pistoia

«Come regolarizzare i migranti che si trovano sul territorio italiano? E per quanti di loro vivono difficoltà di diverso genere: psichiche, fisiche, culturali, quali scelte sono percorse?”. È un saluto “doloroso” quello proposto dal vescovo Fausto Tardelli al terzo convegno Migrantes che si è svolto sabato 22 ottobre nel convento di San Domenico a Pistoia. «Non possiamo fare a meno di affrontare questo problema — aggiunge il vescovo —; la Chiesa può compiere segni, proporre all’attenzione delle istituzioni difficoltà presenti, ma è lo Stato che deve fare la sua parte». Un’emergenza purtroppo diventata ordinaria che chiede l’intervento delle istituzioni, ma anche un cambiamento di paradigma e di mentalità per tutti. A maggior ragione per i credenti. «Oggi quando si parla di migranti, di nuovi poveri – afferma nel suo saluto don Elia Matija, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes – si fa fatica a riconoscere l’altro nella ricchezza della sua identità personale. Dietro le migrazioni ci sono traffici, accordi tra stati. Si proclama di aiutarli a casa loro, ma poi ci si arricchisce alle spalle dei paesi più poveri. Oggi, poi abbiamo bisogno di sentirci coinvolti con i fratelli migranti».

«I migranti nel mondo — ha ricordato padre Alessandro Cortesi nel suo intervento per il Convegno — sono 281 milioni; 100 milioni sono i migranti forzati, a causa di  guerre, cambiamenti climatici, motivazioni economiche», numeri da capogiro che raccontano anche come la maggior parte di essi gravi in paesi del “secondo” o “terzo” mondo. «Ad oggi in Italia — gli faceva eco Paola Bellandi, presidente dell’associazione San Martino de Porres e moderatrice del convegno — sono regolarmente soggiornanti poco più di 5 milioni di migranti, mentre a Pistoia sono il 10% dei residenti».

In Europa la strategia delle politiche migratorie negli anni recenti— commentava padre Cortesi —  ha privilegiato “l’esternalizzazione delle frontiere”, «perché non vi sia ingresso nei paesi dell’Unione e il passaggio dei migranti sia ostacolato, anche se i migranti non possono tornare nei luoghi di provenienza». Una seconda linea “strategica” è stata quella del “confinamento”,« che impedisce l’accesso dei migranti richiudendoli in campo di confinamento come accade nelle isole greche o in Bosnia. Si sono poi moltiplicate politiche difficili di respingimento. Tutte scelte che rendono molte persone “invisibili”. Pensiamo ai respingimenti in Libia o ai respingimenti a catena o informali compiuti nella via dei Balcani per riportare chi era giunto a Trieste nei campi in Bosnia». Eppure — aggiungeva padre Cortesi — «per la prima volta, con il caso degli Ucraini, abbiamo visto la possibilità di un accesso immediato di rifugiati in Europa». Una scelta che ha deciso di rendere più agevole l’aiuto alle persone in fuga e che ha mostrato come strumenti legislativi alternativi esistano, anche se nella loro applicazione «non sono uguali per tutti». 

L’avvocato Lorenzo Pratesi ha offerto una puntuale panoramica sulla legislazione sull’immigrazione. «È soprattutto dal 1998 con la legge Turco-Napolitano — segnalava Pratesi — esiste in Italia una legislazione legata all’immigrazione» a cui è seguito il Testo unico sull’immigrazione che ha impostato lo sviluppo legislativo su tre assi: la programmazione dei flussi migratori, il contrasto all’immigrazione clandestina, l’attenzione ai diritti per quanti risiedono in Italia. Poi è arrivata l’impostazione sicuritaria della legge Bossi-Fini, che Pratesi commenta illustrando anche gli sviluppi successivi fino ai decreti Salvini e Lamorgese. Oggi, proseguiva, la situazione è complessa e anche un po’ contraddittoria, come rivela il fatto che non si entra in Italia senza un rapporto di lavoro. «Nel 2021 sono state esaminate circa 53mila domande di regolarizzazione», a fronte delle quali più di un richiedente su tre ha ricevuto una forma di tutela; «circa il 40 per cento di richiedenti protezione riesce ad ottenerla»: una percentuale in linea con gli standard Europei di accoglienza di queste domande. Molti limiti però — commentava Pratesi — nascono dall’accentuazione della logica sicuritaria, che rivela allo stesso tempo, l’esigenza di deroga in molti casi. «Forse — concludeva— varrebbe la pena pensare alla sicurezza che potrebbero produrre scelte politiche diverse, più centrate nell’accoglienza. Altro aspetto è la difficoltà di superare dinamiche individualistiche con altre comunitarie». 

Ha concluso il Convegno l’intervento di Renata Ndreca, poetessa, insegnante, giornalista, scrittrice di origini albanesi . «La poesia — commentava valorizzando il suo impegno— è il mio veicolo per arrivare dove a volte non arriva la politica e dove a volte non arriva nemmeno la religione. La poesia quando è autentica, può anche guarire». 

ugo feraci