A margine della Giornata della Memoria: le mie memorie. Guardo (da lontano) tre dei miei pronipoti che hanno dodici anni, la mia stessa età quando la guerra tra tedeschi e partigiani infuriava sulle colline dell’Alta Langa. 1943/1945: anni della Resistenza e dei rastrellamenti. Il cortile, in cui i miei pronipoti amano giocare, rincorrersi, gridare, fu in quei mesi teatro di improvvise incursioni tedesche alla ricerca di due partigiani feriti e di un uomo ebreo che si chiamava Levi. A nessuno, assolutamente, dovevamo rivelare la loro presenza.

Devo raccontare ai miei tre pronipoti che hanno dodici anni, che sono spensierati e fortunati, gli orrori visti dalla loro zia novantenne? «Non è possibile che siano successe cose così disumane» ha commentato un giorno Giacomo. Si, è stato possibile e potrebbe ancora esserlo. Potrebbero nascere ancora nella mente di qualche uomo idee pazze, sogni perversi di potere e di supremazia. Ciò che ho visto, perciò, glielo racconterò sempre. Quel tempo ci fece crescere in fretta ci derubò di spensieratezza, di voglia di ridere, di grida di gioia. Ha costretto i nostri occhi “bambini” a vedere “come e quanto” venivano torturate le persone al fine di scoprire il nascondiglio di ebrei, di antifascisti, di partigiani.

Quel tempo ci ha fatto assistere alla fucilazione di tre giovani a ridosso del ciliegio, al fondo del cortile, all’impiccagione di uomini sotto l’arcata di un fienile, alla sepoltura di un “antifascista” bastonato a morte e costretto a scavarsi la fossa con le poche forze rimaste.

Quel tempo ci ha riempito di paura quando abbiamo visto “rasare a zero” i capelli di tre ragazze. Erano state violentate …perciò dovevano essere punite e derise. Quel tempo ha impresso nella memoria il ricordo di una donna vestita di nero che aveva attraversato a piedi il Colle di Cadibona in cerca di cibo. Era disperata. La guerra fu anche “fame”. Anche il nonno fu messo al muro per essere fucilato. I tedeschi vennero un mattino. Rabbiosi, con la loro voce metallica insistevano perché consegnassimo i feriti e l’uomo ebreo. Nessuno rispose e obbedì ai loro ordini. Anche i nascondigli (nel bosco) non vennero scoperti. Il nonno non fu fucilato grazie a Stecu, il giovane soldato tedesco a cui non piaceva la guerra e che aveva tanta nostalgia della sua famiglia.

In quel tempo tante comunità religiose aprirono i loro conventi per accogliere sfollati, ebrei, persone ricercate. Inutilmente plotoni tedeschi bussarono con violenza sulle porte di monasteri e di istituti religiosi. Molte suore (anche mie consorelle), adottarono le strategie più impensate per impedire il riconoscimento delle persone accolte. A queste persone, protagoniste invisibili di una pagina di storia va il nostro grazie.

Suor Delfina