«Il Signore parla nei legami, non a pochi eletti»

Quasi 500 persone all’incontro dello scorso venerdì nell’Aula Liturgica di Valdibrana con don Luigi Maria Epicoco, presbitero dell’arcidiocesi de L’Aquila. Teologo e scrittore, con testi tradotti in molte lingue ed un corposo seguito anche sui social network, dove è seguito da oltre 200mila persone, don Epicoco è stato protagonista nell’aula di Valdibrana con un intervento sulla Spiritualità Sinodale.

Oggi sentiamo molto parlare di Sinodo e di Sinodalità: si tratta di un nuovo modo di fare Chiesa? Che cosa non abbiamo capito o dobbiamo riscoprire?

La Sinodalità non è una novità, ma sarebbe meglio dire che è una verità della Chiesa che per molto tempo forse non è stata portata alla luce. Sinodalità è una parola difficile per dire qualcosa di molto semplice: la Chiesa è un Corpo fatto di parti che sono in relazione tra di loro. Nessuno può fare a meno dell’altro al di là del posto che occupa all’interno del corpo ecclesiale. In questo senso la Chiesa per poter essere davvero Chiesa deve sempre dare importanza a queste relazioni perché Dio parla nei legami, non a pochi eletti. Lì dove ci sono persone che si amano sinceramente allora lì Dio non solo è presente ma è anche comprensibile.

Quali sono, a suo parere, le attese più profonde del nostro tempo?

Il nostro tempo è un tempo che ha perso speranza. La speranza non dipende semplicemente dalla sopravvivenza della terra, così come la felicità di una persona non dipende solo dalla sua mera sopravvivenza biologica. La speranza è legata a un Senso, a un significato profondo che getta luce su tutta la vita e la rende vivibile, umana, gravida di gioia. Siamo in un tempo in cui abbiamo molto ma forse abbiamo smarrito l’unica cosa che conta. Per noi cristiani questo senso ha un nome e un volto. È Gesù. Ma così come il sole splende anche per chi non alzerà mai lo sguardo a fissarlo, così la fede in Cristo non serve solo ai credenti, ma di riflesso getta luce e speranza anche nella vita di tutti gli altri. Gesù è un fatto che riguarda tutti non solo alcuni. E dalla testimonianza cristiana dipende anche il destino del mondo. Non a caso Gesù dice nel Vangelo «se il sale perdesse sapore, non servirebbe a null’altro che ad essere gettato e calpestato».

Quali sono gli aspetti più importanti che secondo lei sono già emersi o emergeranno da questo tempo di riflessione sinodale?

Io sono convinto che la vera chiave di lettura ce l’ha data papa Francesco. Il sinodo non è un evento che ha un inizio e una fine, ma è un processo che è iniziato e che dobbiamo continuare ad alimentare mettendoci quanto più possibile in ascolto dello Spirito. Ascoltare lo Spirito non è gesto astratto o magico. Lo Spirito ci parla innanzitutto attraverso la realtà stessa, ma parla anche attraverso la voce dei piccoli, degli ultimi. San Paolo dice che siamo figli «Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). La Parola di Dio è poi la grande lampada che ci permette di fare discernimento tra ciò che viene da Dio e ciò che viene dagli uomini.

Parlare di Sinodalità chiede di riconsiderare il ruolo dei laici: come possono essere luce, sale e lievito in una società sempre più secolarizzata?

Non c’è altra strada se non quella della santità. E la santità non consiste nel fare miracoli ma nel vivere fino in fondo le potenzialità che abbiamo ricevuto nel nostro Battesimo. I santi sono essi stessi un miracolo perché in un mondo che odia, essi insegnano l’amore. In un mondo che prende, essi insegnano il dono di sé. In un mondo che distrugge, essi invece ricostruiscono con pazienza. I santi sono di una concretezza e creatività disarmante. In questo senso dobbiamo davvero dare spazio a loro per vedere all’opera Dio.

C’è un episodio di Sinodalità nel suo ministero sacerdotale che le è rimasto particolarmente impresso?

Fondamentalmente due. Il primo riguarda il mio rapporto con il vescovo, e quindi una sinodalità che a che fare con chi ha una responsabilità nella Chiesa: In un momento difficile, la parola del mio vescovo è stato quell’elemento oggettivo che mi ha salvato perché ha esercitato la paternità che salva. La sua parola è diventata per me l’elemento di discernimento per poter andare avanti. Il secondo riguarda una persona semplice di una comunità dove fui mandato parroco: dopo aver impiegato molte energie per molte attività e iniziative, venne nel mio studio e mi disse: “è tutto bellissimo ma padre qui si prega poco, e a me viene in mente il salmo che dice «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori». Avvertii in quel momento che era il Signore ad averci mandato quella signora, che con un’umiltà disarmante aveva smascherato il nostro attivismo.

Come possiamo legare insieme Sinodalità e Speranza?

Forse il legame è dato da un elemento semplice che è alla base della sinodalità, cioè le relazioni. Se si è in relazione non si è soli. L’inferno è la solitudine. Essere in relazione con qualcun altro è sempre motivo di speranza perché distrugge appunto l’inferno della solitudine.

Daniela Raspollini