Le donne «in-audite» da fin troppo tempo. Una nuova educazione dove far scomparire l’idea dell’amore-possesso concezione malsana ma ancora radicata

Quante contraddizioni, quante falsità in questo tempo segnato dal sangue di troppe donne. Molti uomini si ritengono liberi, mentre sono schiavi di se stessi e delle proprie passioni; essi ritengono le donne loro proprietà, vittime del loro egoismo. Se ancora oggi viviamo queste drammatiche situazioni nei confronti del genere femminile si deve ad una cultura patriarcale e maschilista dove il ruolo della donna è da sempre stato delimitato in gabbie ideologiche. Il condizionamento culturale è stato, da sempre, dettato da un potere scandito da una netta divisione fra uomini e donne, gli uni nelle stanze dei “bottoni” e a capo di ogni decisione politica, le altre legate al “focolare domestico”. Tutte le società, infatti, hanno sviluppato al loro interno una determinata concezione del maschile e del femminile.

Le donne sono state le prime ad iniziare un lavoro critico su questo immaginario, stanche di vedere precluse le loro opportunità, di essere forzate nelle scelte, di avere meno diritti degli uomini in nome della appartenenza al sesso debole. Con il pretesto della differenza sessuale si propongono e si giustificano delle disuguaglianze. Il Concilio Vaticano II, ha rappresentato veramente un evento spartiacque anche per questo tipo di dialettica, che ha drasticamente messo in crisi il “genere maschile”, che non ha saputo interpretare positivamente il cambiamento già in atto. Per troppo tempo la parola delle donne è stata in-audita.

Il Papa ha denunciato più volte la tentazione del maschilismo, auspicando una presenza femminile più incisiva «nei luoghi dove si prendono le decisioni importanti». È folle pensare che i giovani possano essere educati al rispetto nei confronti del prossimo, se costruiscono le loro relazioni sulla base di una educazione sessuale e affettiva fondata sull’idea della autodeterminazione, che nasconde giustappunto un tragico egoismo autoreferenziale.

Il “codice rosso” introdotto con la legge 69/2019 che rafforza la tutela di chi subisce violenze di genere, attraverso atti persecutori e maltrattamenti, purtroppo non ha evitato il drastico numero dei femminicidi che dall’inizio dell’anno si contano in 84 (donne uccise nell’ambito familiare e affettivo). Una educazione che non affermi la mostruosità del “mordi e fuggi” in discoteca, dei tradimenti come strategia per risolvere i problemi di coppia, una educazione che ridicolizza il pudore, esaltando l’autoerotismo tra i giovani spesso legato all’abuso di pornografia, non rappresenta certamente la giusta via da perseguire per la risoluzione dei femminicidi. Una educazione che spezza il legame fra sessualità, dono e fecondità è dannosa. Una educazione che riduce ai minimi termini l’importanza della maternità e della paternità a favore di qualsiasi altra realizzazione nella vita. Una educazione che induce senza alcuna forma di discernimento e senza alcuno sforzo nella risoluzione delle criticità familiari, spingendo a valutare solo la via giudiziale della separazione e del divorzio, diventati addirittura express.

L’amore come possesso, l’idea malsana e così radicata, anche nelle nuove generazioni di uomini, che le donne siano oggetti da poter manipolare, plasmare, che la loro identità e i loro progetti debbano soccombere nelle mani dei loro “padroni” (padroni di password, padroni di casa, padroni di vite e di morte), deve essere sradicata. Giovani e giovanissimi sono del tutto impreparati sul significato dell’Amore, perché anche gli adulti lo sono.

Michela Cinquilli

(Tratto da La Vita-Pistoia Sette, dorso diocesano di Avvenire)