Per la santa Candelora se tempesta o se gragnola dell’inverno siamo fora; ma se è sole o solicello siamo solo a mezzo inverno.
Così dice la nonna. E un po’ tutti ce lo siamo sentiti dire o lo abbiamo imparato senza bisogno di sfogliare il Sesto Caio Baccelli. Di fatto questa giornata dal nome curioso e cantilenante ricorda un episodio preciso del Vangelo di Luca.
Quaranta giorni dopo il Natale del Signore, infatti, Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere la legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante, luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele.
La festività, di cui abbiamo la prima testimonianza nel secolo IV a Gerusalemme, fu adottata a Roma verso la metà del VII secolo quando papa Sergio 1 (687-701) la accompagnava con una processione penitenziale. Il rito della benedizione delle candele, di cui si ha testimonianza già nel X secolo, si ispira alle parole di Simeone: “I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti“.
La riforma liturgica del 1960 ha restituito alla celebrazione – prima nota come Purificazione di Maria – il titolo di “Presentazione del Signore” che aveva in origine.
L’offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce. “Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio (cfr Lc 2,22- 35), la Chiesa, guidata dallo Spirito, ha scorto, al di là dell’adempimento delle leggi riguardanti l’oblazione del primogenito (cfr Es 13,11-16) e la purificazione della madre (cfr Lv 12,6-8), un mistero salvifico, relativo appunto alla storia della salvezza: ha rilevato, cioè, la continuità dell’offerta fondamentale che il Verbo incarnato fece al Padre, entrando nel mondo (cfr Eb 10,5-7); ha visto proclamata l’universalità della salvezza poiché Simeone, salutando nel Bambino la luce per illuminare le genti e la gloria di Israele (cfr Lc 2,32), riconosceva in lui il Messia, il Salvatore di tutti; ha inteso il riferimento profetico alla Passione di Cristo: che le parole di Simeone, le quali congiungevano in un unico vaticinio il Figlio segno di contraddizione (Lc 2,34) e la Madre, a cui la spada avrebbe trafitto l’anima (cfr Lc 2,35), si avverarono sul Calvario. Mistero di salvezza, dunque, che nei suoi vari aspetti orienta l’episodio della presentazione al tempio verso l’evento salvifico della croce. Ma la Chiesa stessa, soprattutto a partire dai secoli del medioevo, ha intuito nel cuore della Vergine, che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al Signore (cfr Lc 2,22), una volontà oblativa, che superava il senso ordinario del rito. Di tale intuizione abbiamo testimonianza nell’affettuosa apostrofe di san Bernardo: Offri il tuo Figlio, o Vergine santa, e presenta al Signore il frutto benedetto del tuo seno. Offri per la riconciliazione di noi tutti la vittima santa, a Dio gradita” (Paolo VI, Marialis cultus 20).
Al sacrificio di Cristo sembra alludere anche la formella argentea del paliotto centrale dell’Altare di San Jacopo in Cattedrale (1316). L’autore, Andrea di Jacopo d’Ognabene, rappresenta la Vergine che offre Gesù Bambino alle braccia di Simeone proprio sopra l’altare; prefigurazione dell’offerta che Gesù farà di sé stesso sulla croce.
La scena è organizzata simmetricamente, entro un’ambientazione architettonica goticheggiante che allude al Tempio di Gerusalemme. Alle spalle di Simeone si trova la profetessa Anna con la mano levata e un cartiglio per ricordare le parole dell’evangelista Luca: “si mise anch’essa a lodare Dio e parlava del Bambino a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Israele”. Maria, invece, è accompagnata da Giuseppe che offre le due colombe per l’offerta, ed è inquadrato, a pendant con Anna, da una delle arcate del tempio.
Alla luce delle candele che accompagnano la festa, possono rimandare le numerose lampade a olio che pendono nel Tempio.
Un aspetto, quello della luce delle candele, che rende particolarmente suggestiva la liturgia della Candelora. Il saluto che avvia la processione con le candele, infatti, in apertura della celebrazione liturgica, ripercorre il senso della festa:
Fratelli carissimi, sono passati quaranta giorni dalla solennità del Natale. Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con quel rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede.
Guidati dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna; illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza.
Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria.
Anche la preghiera colletta rimanda alla luce delle candele che accompagnano i fedeli nell’ingresso in Chiesa:
Dio, creatore e datore di verità e di luce,
guarda noi tuoi fedeli riuniti nel tuo tempio
e illuminati dalla luce di questi ceri,
infondi nel nostro spirito lo splendore della tua santità,
perché possiamo giungere felicemente
alla pienezza della tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.
Di seguito il Brano del Vangelo di Luca inserito nella Liturgia della Festa.
Vangelo Lc 2,22-40
I miei occhi hanno visto la sua salvezza.
Dal vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.