Pubblichiamo di seguito una riflessione del vescovo Tardelli sul tema delle unioni civili e altre questioni etiche di attualità.
1. QUALI DIRITTI?
La lotta per veder riconosciuti i diritti civili è certamente sacrosanta e ci deve vedere tutti uniti. Si tratta indubbiamente di una battaglia di civiltà. Quali sono però questi diritti? Bisogna pur domandarselo. Non credo si possano considerare diritti semplicemente i desideri degli individui. Confondere desideri e diritti ha conseguenze deleterie per la società. Quando ciò accade, si costruisce un mondo piegato all’individualismo.
Di quali diritti civili si parla? Del diritto di chiamare matrimonio ciò che matrimonio non è? Del diritto di appropriarsi di un nome per piegarlo ai propri desideri? È forse diritto civile affittare un utero? È diritto civile pagare qualcuno perché ci dia un figlio? È diritto civile impedire a un bambino di avere un padre e una madre, suo padre e sua madre?
Sembrerebbe evidente di no. Credo che molti fautori del riconoscimento delle unioni civili siano pronti a dire che no, non è di queste cose che si parla quando si vogliono affermare i diritti. Se però i desideri sono diritti, perché no? Non ora, forse, ma domani?
2. LE UNIONI OMOSESSUALI
Il matrimonio è una cosa. Le unioni omosessuali sono un’altra. Dovrebbe essere pacifico. Il matrimonio che è alla base della società è l’unione di un uomo e di una donna, di per sé stabile, da cui sorgono per generazione, di per sé, i figli. Tale matrimonio è una realtà che precede lo stato e che la legge riconosce e tutela a motivo della sopravvivenza e della vita stessa di un popolo, ma che non inventa. La famiglia poi, in senso proprio, è quella fondata sul matrimonio. Le altre si chiamano famiglie in senso lato.
Metaforicamente dunque si può benissimo dire che dove c’è amore c’è famiglia. In senso specifico però ciò non basta. Anche l’attuale Costituzione italiana ce lo ricorda. Comunque, pur se domani si cambiasse la Costituzione, resta il fatto che equiparare legalmente le convivenze omosessuali alla famiglia naturale fondata sul matrimonio è prima di tutto un assurdo logico. In secondo luogo è fonte di confusione antropologica deleteria ai fini sociali, in particolare se desse adito a adozioni o, peggio, a forme surrogate di genitorialità, dove il diritto del bambino sarebbe misconosciuto in partenza e la povertà sfruttata.
Occorre poi mettersi dalla parte del bambino che in tutta la questione è la parte più debole. Se un diritto deve prevalere sugli altri, è il suo, quello del più debole. E il bambino ha diritto a nascere in una famiglia in senso proprio, salvo casi di necessità che chiedono di dare per lo meno una qualche forma di famiglia a chi non ce l’ha. Una volta c’erano gli orfanotrofi, oggi possono esserci altre forme. Si tratta però sempre di sopperire a situazioni di disagio in essere, non di crearne consapevolmente delle altre.
Le unioni tra persone dello stesso sesso possono comunque avere un riconoscimento che comporta diritti e doveri. Sono però altra cosa dal matrimonio e dalla famiglia in senso stretto. Che due persone, ma anche tre, quattro o più ancora, dello stesso sesso o meno non fa differenza, costituiscano una di quelle “formazioni sociali” di cui parla l’Art. 2 della Costituzione, può essere senz’altro considerato un fatto positivo, in quanto incrementa il tessuto solidaristico della società.
3. LA RICERCA DI RICONOSCIMENTO
Qui si apre un altro discorso. Questo forse è il vero problema che sta a monte di tutto il resto. Chi vive la condizione omosessuale sente la necessità di avere un riconoscimento che lo tolga da un disagio evidentemente reale. Disagio accentuato enormemente da atteggiamenti irrispettosi, offensivi o addirittura violenti che sono inaccettabili. Ci si illude allora che la strada da percorrere sia quella del riconoscimento dell’unione omosessuale come matrimonio o, in via secondaria e di passaggio, come unione civile. Non ci si rende conto però, che non sarà mai una legge a far superare il disagio, il quale non sta nelle leggi ma nelle mentalità e nella cultura.
L’omosessualità rimane un mistero le cui cause sono ben lontane dall’essere individuate. Chi è omosessuale non è da emarginare, condannare o allontanare dalla società. È un figlio amato da Dio, né più né meno di ogni uomo. È addirittura fuorviante introdurre divisioni nell’umanità sulla base degli orientamenti sessuali.
Ogni essere umano ha un’inalienabile dignità a prescindere e nessuno può ignorarla o calpestarla. Per questo non può essere oggetto di discriminazione e nemmeno di sarcasmo. E vogliamo quindi anche essere in prima fila nella battaglia contro l’omofobia per una società rispettosa di ogni persona.
La questione è piuttosto un’altra e cioè se dall’orientamento omosessuale si possa dedurre la bontà, la giustezza, la validità di un legame di tipo coniugale o matrimoniale. Ecco, qui la Chiesa, sulla scia delle Sacre Scritture, ma anche a seguito di una riflessione razionale sul significato dell’essere uomo e donna, su quella cioè che si può definire la struttura della natura umana, afferma che no, non è un amore di tipo matrimoniale quello che può realizzarsi tra persone omosessuali. Può esserci affetto, amicizia anche profonda, comunione, amore, ma rapporto di tipo coniugale no. Esso sarebbe privo infatti della possibilità di realizzare quell’unità psicofisica complementare, dialogica e di per sé aperta alla vita, che è tipica di una relazione coniugale.
L’amore è parola bella e grande, ma estremamente generica. Dire che “l’amore è amore” è una banalità incredibile e insieme una menzogna. I tipi di amore infatti sono tanti. Alcuni addirittura si chiamano amore ma sono solo violenza e sopraffazione. Altri possono essere veri, autentici, profondi e intensi ma diversi l’uno dall’altro, come per esempio l’amore di un padre e di una madre per i propri figli, di un amico per l’amico, di un discepolo per il maestro o viceversa, come l’amore ancora per un animale e così via. Non tutti questi amori sono di tipo coniugale o sessuale. Non tutti sbocciano in un matrimonio. Così, nell’amore omosessuale, la via per così dire della propria realizzazione, non è tanto quella del matrimonio, bensì quella della maturazione di una capacità oblativa che raccolga tutte le proprie energie nella dedizione al bene altrui e dell’umanità.
4. TENDENZA OMOSESSUALE E PRATICA OMOSESSUALE
Bisogna poi fare ancora una considerazione di carattere più generale. Dalle tendenze che ognuno di noi ha, sessuali o meno, non deriva mai automaticamente la legittimità morale del comportamento corrispondente. Le tendenze sono una cosa di cui non si è personalmente responsabili. Le troviamo in noi stessi, senza la nostra volontà. I comportamenti invece derivano dalla libera volontà, sono espressione di libere scelte e quindi sono soggetti a una valutazione di tipo morale. Dalla tendenza omosessuale perciò occorre distinguere la pratica omosessuale. Le due cose non si identificano.
La tendenza omosessuale, infatti, indica l’attrazione psicosessuale per persone dello stesso sesso che può dar seguito – se lo si sceglie – a una pratica sessuale. Un comportamento, questo, che resta discutibile sul piano morale ma che si inquadra in un contesto che occorre prendere in debita considerazione. La pratica o comportamento, invece, indica la pratica sessuale che di per sé potrebbe essere messa in atto anche da persone che non abbiano tendenza omosessuale, quindi a solo fine ludico. In questo secondo caso, l’esercizio della sessualità non è assolutamente accettabile, vuoi perché non scaturisce dall’amore, vuoi perché è finalizzato esclusivamente alla soddisfazione di un piacere, vuoi perché è privo della complementarietà che appartiene alla relazione sessuale, sia infine perché non è in alcun modo aperto alla generazione di vite umane.
Oggi si è propensi a usare il termine “orientamento” sessuale al posto di “tendenza”. Va bene. Se però con tale termine si volesse affermare che i comportamenti sessuali sono determinati dalla libera volontà e per questo sempre legittimi dal punto di vista morale, avrei delle grosse perplessità. Vorrebbe dire in pratica che il comportamento sessuale esula completamente da ogni valutazione di tipo morale. Quindi non sarebbe umano. Chiaramente un assurdo.
5. LA SITUAZIONE CHE STIAMO VIVENDO
Della situazione così come oggi si presenta, non possiamo che prendere atto senza recriminazioni e lamentele. Ci rendiamo anche conto che è molto difficile ragionare e far ragionare quando si è in presenza di una pressione mediatica di così grande forza e si sperimenta una specie di ubriacatura ideologica che rende impossibile ogni confronto serio e costruttivo. A farne le spese sono soprattutto i giovani e – io credo – gli stessi omosessuali. Ancor più comprendiamo allora che c’è da intraprendere una lunga strada, quella del rifondare, dell’educare, quella del porre con pazienza le basi di una nuova umanità che rinasca dalle ceneri del presente, imparando di nuovo a sillabare l’abc della vita. Sentiamo che dobbiamo lavorare molto perché la ragione torni a brillare e la fede a illuminare i cuori.
C’è una mentalità, una cultura della vita e dell’amore da ricostruire, partendo dalla testimonianza personale e dal recupero della voglia di cercare la verità senza pregiudizi. C’è anche un compito educativo da mettere in atto, che sappia tenere in debito conto l’acquisizione di una corretta visione antropologica, elaborata sulle ali della ragione e della fede. Cosa cui forse non abbiamo dato il debito peso. La “mentalità di fede” a cui l’evangelizzazione e la formazione cristiana mirano è ben espressa nella Evangelii nuntiandi di Papa Paolo VI che mi piace citare perché davvero illuminante: “per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza. Si potrebbe esprimere tutto ciò dicendo così: occorre evangelizzare – non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità e fino alle radici – la cultura e le culture dell’uomo, nel senso ricco ed esteso che questi termini hanno nella Costituzione «Gaudium et Spes», partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio” (Evangelii nuntiandi, n. 19).
In un’epoca come la nostra, dove per forza di cose aumenta a dismisura il senso di frustrazione personale e quindi la rabbia, anche l’evangelizzazione non può che assumere i connotati capillari di una prossimità compassionevole che ricostruisce pezzetto per pezzetto, con infinita pazienza, l’umano più semplice ed elementare. Dobbiamo però metterci all’opera, sapendo che il vangelo della misericordia è salvezza per l’uomo di tutti i tempi e in qualsiasi condizione si trovi. La strada da fare è lunga e i risultati non sono per l’immediato. Siamo certi però di lavorare per un futuro migliore.
Vi saluto con affetto e vi accompagno con la mia benedizione.
+ Fausto Tardelli