Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio unigenito sulla terra e nacque da una donna di nome Maria. Nacque nel silenzio di una grotta, tra gli animali, fuori dalla città, non come un grande re e sovrano quale in verità Egli era ed è. Venne in umiltà, indifeso, esponendosi completamente alla nostra libertà. Come un bambino nelle nostre mani che piange, bisognoso di tutto.
Non so se l’umanità ha appreso la lezione di umiltà del suo Creatore; se ne abbia compreso l’amore; se abbia fatto tesoro dei suoi insegnamenti incarnati nella vicenda di Gesù di Nazareth. Sembrerebbe proprio di no, occupati come siamo a usarci violenza l’un l’altro, a bestemmiare il nome santo di Dio e a perseguire ostinatamente una fallace felicità fatta di prepotenza, egoismo e prevaricazione. Parrebbe davvero di no, vedendo soprattutto i bambini, non voluti, non amati e resi vittime di guerre e ingiustizie.
L’Incarnazione del Verbo di Dio però nessuno la può più cancellare dalla storia del mondo. La terra è stata fecondata dall’amore di Dio una volta per sempre e alla fine,non può che generare la pace. Già questo succede, nei cuori che si aprono con stupore alle meraviglie dell’amore di Dio. Quando le mani si tendono ad abbracciare un fratello e gli occhi cercano quelli degli altri per dire anche solo “son qua per te”; ecco, lì è Natale e il Verbo fatto carne rifulge in tutto il suo splendore.
La memoria del Natale del Signore è dunque speranza per tutti noi. E il mio augurio è innanzitutto questo: che non venga mai meno la speranza anche in chi prova dolore e fatica; in chi non ha ancora un lavoro o fugge dal proprio paese in cerca di una vita migliore. Che non si spenga la speranza in chi magari è solo o è triste e abbattuto. Che sia dunque in tutti forte la speranza che “sia davvero possibile un mondo migliore”. Natale è però è anche pianto di un piccolo bimbo che non si può soffocare e quindi inquietudine e giudizio sulla nostra indifferenza, sul nostro voltarci dall’altra parte, sul chiuderci all’accoglienza e all’amore del prossimo. Auguro dunque a me e a voi anche questo: che riusciamo ad ascoltare il pianto del bimbo di Betlemme e con il suo, quello di tutti i bimbi e sofferenti del mondo e che questo pianto rimanga a lungo dentro di noi e ci spinga ad agire perché ogni pianto si trasformi in riso di gioia.
+Fausto Tardelli