In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di domenica 15 gennaio abbiamo raggiunto p. Giulio Albanese, noto giornalista e direttore della Rivista Popoli e Missione.
Il tema di quest’anno –Migranti minorenni vulnerabili e senza voce– richiama con forza a prendere in considerazione un tema delicato e spesso trascurato. Quanti sono i bambini coinvolti in questo fenomeno? È possibile fare una stima?
Sono sempre cifre da prendere con beneficio di inventario -afferma p. Albanese-, per quanto concerne la tratta delle persone intesa come attività commerciale dei poveri sono circa 2 milioni e mezzo i bambini sfruttati come mano d’opera. Tantissimi, purtroppo, sono i bambini che cadono nelle grinfie di trafficanti di esseri umani e che portati da un paese all’altro come merce, dopo lauto compenso sono consegnati illegalmente a delle coppie. L’Italia non è lontana da questi drammi. Circa 1 immigrato su 5 in Italia è minorenne. Siamo un paese di transito e di destinazione e, in ogni caso, i problemi e l’ingiustizia in terre geograficamente lontane ci interpellano: dobbiamo prendere coscienza del problema e non stare a guardare dalla finestra.
Quali sono i principali rischi per i piccoli coinvolti nelle migrazioni?
I rischi sono terribili. I bambini sono venduti come schiavi o attirati nel girone dantesco della prostituzione. È un fenomeno esteso dall’Africa al Sud Est Asiatico. Molti piccoli sono costretti con la forza a fare da mano d’opera, a rubare e rivendere merce.
Nel Messaggio per la giornata dei Migranti papa Francesco afferma che la “linea di demarcazione tra migrazione e traffico può farsi a volte sottile”. Forse non abbiamo presente questo aspetto..
Il fenomeno migratorio è il binario dove passano tante persone malavitose. Qui cresce spesso, purtroppo, anche il fenomeno della prostituzione minorile. C’è un fiume di umanità giovanile dolente ed è chiaro, da questo punto di vista, che non si può stare a guardare. È necessario capire che il problema non è solo la tratta dei minori. Come ripeteva il grande Zygmunt Bauman, recentemente scomparso : “Essere morali significa sapere che le cose possono essere buone o cattive. Ma non significa sapere, né tanto meno sapere per certo, quali siano buone e quali cattive […]. Essere morali significa non sentirsi mai abbastanza buoni”. Dobbiamo sempre lasciarci inquietare, nè possiamo auto assolverci: siamo tutti corresponsabili.
Il paradosso è che nel fenomeno migratorio sono coinvolte persone che scappano dalla fame o dalla guerra, ma che poi incappano in drammi peggiori, perché cadono vittime di traffici illeciti e a casa nostra, invece di trovare il riscatto di una tanto agognata libertà, rimangono spesso nella schiavitù.
Sono tanti, purtroppo, i volti di bambini insanguinati e pieni di lacrime che scorrono sui nostri schermi. Vittime della violenza degli uomini e della disperazione. Tutti abbiamo in mente la terribile foto di Aylan, il bimbo siriano annegato sulle coste della Turchia. È cambiato qualcosa, almeno nella coscienza diffusa della gente?
Il problema è che nella nostra società tutto si gioca sull’attimo fuggente dell’emozione: è troppo facile versare lacrime da coccodrillo per poi dimenticare!
Sarebbe più opportuno, a mio avviso, essere più energici, manifestare la nostra indignazione, che significa in sostanza passare dalle parole ai fatti. La responsabilità non è solo etica, ma anche politica ed è legata all’affermazione della giustizia. Non dimentichiamo, infatti, che dietro le quinte di questa realtà c’è tanta mercificazione: così si afferma il dio quattrino rispetto al valore sacro santo della persona umana, piccola e grande che sia, ma sempre creata a immagine e somiglianza di Dio.
Il Papa ci indica che il tema delle migrazioni oggi è senza dubbio un eloquente segno dei tempi. Come possiamo interpretare questo segno?
Quello che sta succedendo è il segnale del malessere del nostro tempo, di una società -la nostra- segnata dalla globalizzazione dell’indifferenza. Ecco che allora essere cristiani significa affermare la globalizzazione di Dio, quella della solidarietà!
Tre sono le cose importanti da ribadire:
1. Il primato della preghiera per i poveri come prima forma di apostolato
2. Promuovere l’informazione, la conoscenza: prima forma di solidarietà
3. La diaconia intesa come servizio ai fratelli più bisognosi
Spesso ci sentiamo impotenti di fronte alla gravità e alla complessità di questi fenomeni. Cosa può suggerire concretamente ad una realtà Parrocchiale?
Bisogna essere permeabili e far capire che abbiamo un destino comune e che dunque deve esserci una interazione. Ecco allora che la vera sfida non può essere solo l’accoglienza, ma anche e soprattutto l’integrazione.
In Italia abbiamo molta strada da fare per promuovere l’integrazione. L’esclusione sociale è un male da scongiurare. Come affermano i Vescovi toscani bisogna andare al di là di soluzioni emergenziali, cercando di capire che ci troviamo di fronte ad un fenomeno con il quale dobbiamo imparare a convivere perché rientra nei dinamismi del secolo che ci appartiene.
Daniela Raspollini