Il cammino cittadino delle Stazioni quaresimali ci avvicina alla Settimana Santa, puntando sempre più chiaramente al dramma della passione. Le letture proposte dalla liturgia di venerdì 31 marzo propongono grandi contrasti. Altrettanto forti quanto l’accesa bicromia bianco/verde del romanico pistoiese. Una caratteristica propria della città, che ha contraddistinto anche il percorso della Statio di venerdì scorso, che si è mossa dal Battistero per raggiungere San Giovanni Fuorcivitas. La tensione tra luce e tenebre, percepita con forte suggestione nella penombra di San Giovanni, accompagna perfettamente il cammino verso la Pasqua.
Nel suo intervento, infatti, Mons. Tardelli ha ricordato: – indubbiamente, il mistero della Pasqua che è evento di vita e di gioia, non lo è però a buon mercato. È piuttosto il frutto del sacrificio di Cristo, pagato duramente dal Signore attraverso il rifiuto e il tradimento».
D’altra parte la pretesa di Gesù è davvero esigente. Né può lasciare indifferenti: occorre prendere posizione. Gesù, infatti, avanza la pretesa di «farsi Dio, con l’autorevolezza di Dio; addirittura figlio di Dio».
Eppure per chi lo accoglie Gesù riserva ogni bene: «apre i tesori dell’infinito amore di Dio e della sua infinita misericordia. (…) Senza se e senza ma».
Accogliere un Dio così sembra immediato. Eppure dirgli di sì, paradossalmente, non è così facile. La sua pretesa desta quasi scandalo «è indubbiamente questo presentarsi assoluto di Gesù che suscita irritazione e violenza, reazione scomposta fino alla decisione di toglierlo di mezzo».
L’offerta di amore di Cristo non è nemmeno la carità di un filantropo, il «segno di bontà nei confronti degli altri», ma molto di più.
Si fa più chiaro, dunque, anche il motivo della sua condanna a morte: egli, infatti, «affermava di essere l’unico a manifestare e a esprimere in pienezza la volontà del Padre, volontà di salvezza e di perdono, compiendo lui stesso ciò che solo Dio poteva compiere: la remissione dei peccati, la salvezza dell’uomo. Così facendo Egli contestava radicalmente tutti i poteri mondani, sia civili che religiosi che prendono il posto di Dio al fine di dominare sugli uomini e nello stesso tempo contestava radicalmente anche il potere peccaminoso che ognuno di noi si arroga: quello di essere Dio e di ergersi a misura di tutte le cose».
Viene da chiedersi, se il Figlio di Dio si incarnasse ai nostri giorni, come sarebbe accolto. Oggi, infatti, l’aut-aut di Gesù ci sembra quanto meno politicamente scorretto, privo di riguardo nei confronti delle posizioni altrui. D’altra parte, aggiunge mons. Tardelli: «Se si fosse presentato con forse, può darsi, vedete voi, la mia è solo una proposta fra tante e così via, il Signore Gesù sarebbe ancora vivo – lo dico come battuta – nel senso che nessuno l’avrebbe certamente ammazzato.
Allora come oggi, forse oggi più che mai, Gesù con le sue “pretese” risulta abbastanza indigesto. Ciascuno di noi è abbarbicato al proprio io. Ognuno di noi si sente Dio, arbitro del bene e del male. Ognuno di noi ha i suoi “ma” e suoi “però” di fronte alla radicalità che ci propone il Signore (…) C’è Lui, ma poi ci sono le nostre cose, i nostri affari, le nostre preoccupazioni, la nostra vita da salvare e da custodire».
Gesù è davvero il “grande rompi” della nostra vita. Sempre pronto a buttarci giù dal divano delle nostre comode meschinità. «Se proprio non lo espungiamo dalla nostra esistenza, però tante volte lo marginalizziamo e con il Signore marginalizziamo ogni nostro fratello che finisce sempre per scomodarci».
Un “grande rompi” che scomoda singoli e comunità: «questo Signore Gesù che pretende di essere la via, la verità e la vita, che pretende di essere la risurrezione e la vera libertà, scomoda enormemente anche questa nostra società contemporanea che ha fatto della negazione della possibilità stessa della verità il suo assunto fondamentale. Laddove si vive nel relativismo radicale conclamato ed esaltato; dove il buio e il nulla sono accettati senza sentirne la drammaticità e l’angoscia, anzi, affogando questa angoscia in un mare di droghe. Dove la libertà è intesa come soddisfazione di ogni desiderio soggettivo; dove la tolleranza è concepita come indifferenza di fronte al male o alla questione della verità»
«In una società così, – afferma il Vescovo – il Signore Gesù sarebbe ancora irrimediabilmente messo in croce, quale fanatico e presuntuoso, dogmatico, intollerante e oltretutto impostore. Forse se ne apprezzerebbe il suo altruismo, i suoi gesti di attenzione nei confronti degli emarginati e degli esclusi ma non certo nei confronti dei peccatori, perché noi uomini di oggi non facciamo peccati».
Dobbiamo rassegnarci. La via della salvezza, a cui ci apre la Pasqua non è a buon mercato: «La redenzione passa attraverso la croce (…) Gesù non si stanca di amarci e proprio per questo, continua a dirci la verità sia pure a noi più o meno gradita, perché la prima e fondamentale carità è la verità nella carità».
(redazione)
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