A seguito delle recenti e sconcertanti atrocità di guerra verificatesi in Siria vogliamo riproporre integralmente l’intervista al direttore nazionale Caritas don Francesco Soddu, pubblicata sul Settimanale Diocesano ‘La Vita’ (n. 13, 30 marzo 2017).
Don Francesco, qual è stato il principale impegno di Caritas italiana in Siria in questi anni?
Caritas Italiana, attiva nella collaborazione con le Caritas nazionali dal 2011, quindi fin dalle prime avvisaglie della crisi siriana, partecipa al Syria Working Group, struttura di coordinamento organizzata dalla rete Caritas per gestire l’emergenza della guerra in Siria e sostiene una cosiddetta “cellula d’appoggio” funzionale al lavoro di Caritas Siria. Per quanto riguarda quest’ultima, si tratta di una piccola équipe che affianca la Caritas siriana nella gestione della crisi per il coordinamento degli aiuti richiesti e la pianificazione la messa in opera degli interventi. Finora da Caritas Italiana circa 2,5 milioni di euro sono stati messi a disposizione delle diverse Caritas della regione coinvolte dalla crisi siriana, in particolare di Caritas Siria. Inoltre, a partire dal 2014, grazie anche a un contributo Cei di un milione di euro, è stato possibile sostenere attività di emergenza di base, tra cui la distribuzione di viveri e medicine e contributi per alloggi, nelle regioni di Aleppo, Hassaké e Damasco.
Un altro sostegno importante è andato alle scuole, come ad Aleppo e Damasco, a vantaggio di oltre 2.000 bambini. Un rapporto di collaborazione particolare è in corso con la Caritas regionale di Homs, che come Caritas Italiana sosteniamo finanziariamente da tre anni, tramite un contributo di circa 200 mila euro l’anno, per un ampio progetto di aiuti di urgenza. Certamente grazie al lavoro di Caritas Homs, si riescono a coprire tante necessità: dai bisogni primari, quali cibo, igiene, sanità, alloggio e istruzione, della popolazione più vulnerabile, a quelli dei tanti sfollati interni che hanno perso la casa e delle famiglie locali che ancora hanno un’abitazione. Gli interventi previsti sono di varie tipologie e vanno dalla distribuzione di pacchi e articoli igienici, ad aiuti finanziari alle famiglie che il conflitto ha reso più vulnerabili; in particolare diamo il nostro sostegno nel pagamento degli affitti per garantire a queste famiglie un alloggio dignitoso, e le supportiamo per permettere ai loro figli di frequentare la scuola. Un altro sostegno importante che assicuriamo come Caritas, riguarda l’aiuto finanziario alle persone affette da malattie croniche.
Gli interventi Caritas in Siria riescono ad andare anche oltre le esigenze legate all’emergenza? È possibile ricominciare a costruire il futuro di questo paese?
Certamente come Caritas, vogliamo essere vicini alla Siria non solo nell’immediata emergenza, ma anche nello sviluppo di progetti a carattere socio pastorale, capaci di essere un balsamo per il tessuto sociale ferito dalla guerra. In particolare il 2017 vedrà l’intensificarsi della collaborazione con la Caritas di Homs, a cui sarà offerto non solo un sostegno finanziario ma anche progettuale, per sviluppare interventi in grado di legare l’aiuto di urgenza allo sviluppo e alla riabilitazione. Inoltre, grazie alla ricerca condotta sui bisogni dei giovani, sarà avviato un nuovo progetto nazionale, di carattere socio-pastorale, volto al sostegno proprio dei giovani, che saranno chiamati a costruire la pace e ricostruire il Paese.
Uno studio di Caritas Siria e Caritas Italiana ha indagato la situazione dei giovani nella nazione siriana, sia dal punto di vista dei bisogni materiali che da una prospettiva sociologica. Che cosa emerge dai dati e dalle testimonianze raccolte?
Nell’indagine condotta, emergono dei dati allarmanti: infatti il 91% degli intervistati, dichiara che i giovani vivono in povertà, in famiglie con seri problemi economici. Una povertà che, ovviamente, trova fra le sue principali cause la mancanza di lavoro che coinvolge più dell’84% degli intervistati. A questo si aggiungono altri drammi molto gravi, legati direttamente alla guerra: famiglie divise dal conflitto, famiglie con vedove o orfani e altissima risulta essere anche la percezione di “disordini post traumatici da stress”: oltre il 70% degli intervistati lo riporta tra le problematiche abbastanza o estremamente frequenti tra i nuclei familiari siriani. Inoltre il 53% segnala di aver subito torture o abusi. Dallo studio emerge anche una fotografia di giovani che, nonostante la guerra, cercano di vivere una vita il più normale possibile, al pari di molti loro coetanei. Il loro impegno si concretizza, soprattutto, in attività sociali in favore dei giovani che coinvolgono il 64% degli intervistati (in gran parte volontari), mentre il 30% è impegnato in attività di “orientamento e consapevolizzazione dei giovani”. Anche le attività legate all’animazione ed educazione religiosa, che vedono impegnati il 55% degli educatori, raccontano una generazione che non rinuncia ai propri valori, alle tradizioni e alla spiritualità. Nonostante le problematiche dovute al conflitto, non mancano attività di “promozione della pace e della nonviolenza”, che vedono coinvolto il 13,6% degli intervistati. Dalla prima analisi dei dati si evidenzia in particolare un forte bisogno di investimento sul fronte educativo; la stragrande maggioranza degli intervistati, oltre il 95%, vede come estremamente prioritarie la scuola e l’università, insieme alla frequentazione di corsi professionalizzanti e di lingue che possano garantire loro un futuro lavorativo. Certamente il settore educativo sarà, principalmente, uno di quelli su cui come Caritas ci concentreremo di più.
Come ha risposto il nostro paese all’emergenza umanitaria in Siria? Cosa suggerisce per far crescere sensibilizzazione e generosità?
Il nostro Paese, così come tutta l’Unione europea, ha dato una risposta molto flebile, se non inesistente al conflitto che devasta da oltre 6 anni la nazione siriana. Se come Italia ci siamo per lo più limitati a condannare le atrocità perpetrate in Siria, purtroppo la risposta di molti Stati europei all’afflusso di uomini e donne in fuga dalla guerra si è tradotta in muri e barriere costruiti sui mattoni del nazionalismo e della xenofobia più estremi. Un intervento vero e concreto riguarda la diffusione e una sincera adesione alla cultura della nonviolenza, come ricordava anche papa Francesco in occasione della 50sima Giornata mondiale per la pace. Il rischio enorme che corre oggi la Siria è quello di costruire una “pace”fondata sulla violenza, che non lasci spazio alla giustizia e alla verità; una pace fittizia che non potrà essere altro che il prologo a un lungo futuro di conflittualità e terrorismo. Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace, il pontefice non parla solo ai capi delle nazioni, ma ad ogni uomo, e ci invita a una responsabilità personale nei confronti della «nonviolenza come stile di una politica di pace», capace di guidare i rapporti interpersonali quindi, non solo quelli internazionali.
Il richiamo alla nonviolenza, che potrebbe suonare come qualcosa lontano nel tempo, appartenente a un’altra epoca, può davvero essere una valida e duratura risposta al conflitto siriano, se saremo in grado di aiutare la società siriana a costruire, sulla nonviolenza, il proprio futuro.
Al tempo stesso, a livello di comunità civile, di opinione pubblica, penso che sia necessario riappropriarsi del valore della nonviolenza, diffondendolo nelle piazze, nelle tv, nei social media, nelle campagne comunicative. Solo grazie al supporto della società civile, la nonviolenza potrà diventare veramente lo «stile di una politica per la pace», come dice papa Francesco, una politica pensata dai suoi cittadini.
Purtroppo il peso maggiore di questa sfida ricadrà, ancora una volta, sulla popolazione siriana. Chi fino ad oggi ha deciso di non combattere, di non abbracciare la violenza, ma anche chi avrà la forza di abbandonare le armi, porterà sulle spalle il peso e l’opportunità di ricostruire il proprio Paese. Ma non dovrà essere lasciato solo. Il futuro di pace della Siria, nel lungo periodo, sarà deciso non da chi vincerà il conflitto schiacciando l’altra parte o da chi prevarrà al tavolo delle trattative, ma dai suoi cittadini; per questo è ora il tempo di investire sulle vite dei siriani, non solo per aiutarli a sopravvivere alla guerra, ma per aiutarli a costruire un futuro durevole di pace.
Da questa convinzione nasce lo sforzo della ricerca sui giovani e dei futuri progetti che da quest’ultima si svilupperanno: i giovani, con le loro competenze ed energie, non dovranno essere abbandonati alla gravosa responsabilità di fermare la violenza e ricostruire un Paese. Solo grazie ai giovani, la nonviolenza potrà finalmente tornare a sbocciare nella sofferente nazione siriana; proprio come un fiore tra le macerie.
Daniela Raspollini