Il cammino delle stazioni quaresimali è giunto alle soglie della settimana santa. Nell’ultima statio, dalla chiesa della Misericordia alla Chiesa di San Paolo, si fa più chiara, attraverso i testi proposti della liturgia, la figura e la missione di Gesù. Di fronte alle Sue parole occorre prendere posizione, misurare tutta l’alterità di una proposta che non ha eguali e che apre alla novità della Pasqua. La pretesa di Gesù, in effetti, – ricorda il Vescovo- è decisamente alta e suscita l’opposizione dei giudei: «Il Signore Gesù … viene messo a morte perché, pur essendo uomo, si è fatto Dio». «Sta qui – aggiunge mons. Tardelli – la motivazione del rifiuto: che un uomo possa essere Dio».
La pretesa di Gesù, tuttavia, non lo allontana dall’umanità per renderlo alieno e sfuggente alle fragilità, alle aspirazioni e ai sentimenti degli esseri umani. La sua pretesa di essere uomo e Dio allo stesso tempo, infatti, si riflette necessariamente sugli uomini: «ciò per cui Cristo è stato consacrato e mandato dal Padre ha a che vedere proprio con il fatto che l’uomo sia Dio: essere presente in un uomo così che l’uomo possa ricongiungersi con Dio».
Ne discende un corollario fondamentale per il cristiano: «comprendiamo allora quale sia in verità la missione del Figlio, il perché dell’incarnazione, come della sua morte e risurrezione: condurre gli uomini a Dio, riappacificarli con Lui, farli diventare Dio. È questa la sua missione nel mondo, la redenzione dell’uomo. È questa l’opera del Padre che Egli compie sulla terra».
È un punto decisivo della fede, che pure, paradossalmente, rischiamo di trascurare: «Il Signore Gesù Cristo è venuto in mezzo a noi per far si che l’uomo diventasse Dio (…) Conseguentemente, si delinea con molta precisione anche la missione della Chiesa nel mondo: aiutare gli uomini a diventare Dio; ad aprirsi alla grazia dello Spirito Santo che guarisce, trasforma ed eleva la nostra umanità alla vita divina nella piena comunione con Dio».
La pretesa di Gesù è alta, quasi inafferrabile, ma altrettanto alta è la vocazione a cui chiama ogni uomo: «il nostro destino, la nostra chiamata, il nostro compito e la nostra missione – precisa il Vescovo – è di diventare Dio, essere assorbiti in Lui, trasfigurati nel suo amore, per cui si possa dire con San Paolo, non son più io che vivo ma è Cristo che vive in me».
Gesù indica agli uomini un orizzonte divino, eppure gli uomini sembrano preferire gli orizzonti corti delle creature. È il rischio ricorrente, infatti, che spinge a ridurre il messaggio di Cristo e la vocazione dell’uomo: «quasi che il Signore Gesù fosse venuto in mezzo a noi semplicemente per risolvere i nostri problemi umani, di salute, di qualità della vita, di benessere, di vita terrena insomma».
Certamente Gesù Cristo non trascura le naturali aspirazioni dell’uomo, «perchè è l’uomo nella sua interezza di corpo e anima ad essere chiamato a diventare Dio, ma l’obiettivo di Cristo resta questo: che diventiamo per mezzo suo Dio, vivendo in Lui e con Lui».
Eppure è facile, come insegna la storia della Chiesa e anche dell’esegesi biblica, proiettare su Cristo le aspirazioni dell’uomo, crescere nell’impegno per un Regno di Dio che assomiglia troppo a quello dell’uomo e che rischia di essere inteso «come staccato da Cristo stesso, quasi fosse qualcosa di diverso da Lui». Come se fosse «qualcosa che si concretizza principalmente in una giustizia e pace intramondana, attraverso l’istituzione di sistemi politici pienamente democratici e la realizzazione di sistemi economici equi».
Come dobbiamo immaginarci, dunque il regno di Dio? Come una realtà totalmente altra da quello dell’uomo? In questa categoria si deve certamente includere un disegno «di trasfigurazione divina dell’uomo e della sua umanità, ma occorre sempre ricordare le parole di Gesù di fronte a Pilato: il mio regno non è di questo mondo. Nel senso che il Regno di Dio è Cristo stesso, presente mediante lo Spirito nei nostri cuori».
«Il Regno di Dio che Cristo inaugura e a cui è già fin d’ora possibile l’accesso mediante la fede – precisa Mons. Tardelli -, consiste nella liberazione e purificazione dal peccato e nella partecipazione alla comunione col Padre, mediante il Figlio, nello Spirito Santo. Ciò che esattamente realizzano i sacramenti della fede».
Non possiamo dimenticare, dunque, l’altezza della vocazione divina a cui Cristo chiama ogni uomo «questa è la nostra santificazione; la mèta piena alla nostra vocazione; questo il senso della nostra vita sulla terra. E come Chiesa del Signore, siamo invitati a lavorare e affaticarci perchè ogni uomo conosca di essere invitato al banchetto di Dio e vi entri, abbandonando l’abito vecchio del peccato e lasciando che la propria umanità sia assunta in Dio e viva di Dio».
Un invito che può sembrare sopraffatto dalla violenza e dal male che imperversano nel mondo, come ricordano le terribili cronache di questi giorni: «annunciare e testimoniare tutto, questo sembra davvero qualcosa fuori dal mondo, sembra di essere degli ingenui sognatori di un mondo assolutamente impossibile. Ma è la strada percorsa da Gesù Cristo prima di noi e che ancora Egli continua a percorrere con noi per le strade polverose e insanguinate del mondo».
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(redazione)
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