Lunedì 24 luglio si svolgerà la solenne processione-pellegrinaggio di San Jacopo apostolo, patrono della Diocesi di Pistoia. ll ritrovo è alle ore 20.45 nella chiesa di San Francesco a Pistoia, poi la processione attraverso le vie del centro storico giungerà a San Zeno dove sarà possibile venerare la reliquia dell’apostolo e ricevere la benedizione dal Vescovo.
In occasione della festa del Santo Patrono abbiamo incontrato la prof.ssa Lucia Gai, storica pistoiese profonda conoscitrice del culto jacopeo e della storia cittadina.
Quali erano in passato i riti più significativi legati alla devozione al Santo Patrono?
È la processione del 24 luglio, per la vigilia della Festa dell’apostolo Giacomo di Zebedeo, comunemente chiamato San Jacopo in Toscana fin dal Medioevo.
Nei dispositivi delle leggi comunali pistoiesi di primo Trecento ne sono indicate le modalità, con molta precisione.
Era organizzata, per delega del Comune, dagli Operai di San Jacopo: che si occupava della gestione del culto per l’apostolo; commissionavano gli arredi liturgici della relativa Cappella, eretta nel 1145 entro la campata minore destra del duomo di Pistoia per volontà del Vescovo Atto (1133-1153); amministravano le rendite dei possedimenti donati o acquistati; custodivano i più importanti atti comunali e le pubbliche misure del mercato.
Dovendo organizzare la partecipazione dell’intera cittadinanza alla processione patronale che era obbligatoria per tutti i membri della comunità urbana salvo i bambini piccoli, i vecchi inabili e i malati, gli Operai di San Jacopo si facevano aiutare da cittadini eletti fra gli abitanti di ciascuno dei quattro quartieri di Pistoia, chiamati ‘festaioli’.
Essi, d’intesa con gli Operai, stabilivano anche le modalità con cui la processione si doveva svolgere.
In particolare, le ‘precedenze’, cioè la disposizione in essa dei vertici del potere pubblico, delle magistrature, dei membri della giustizia civile e criminale, della polizia cittadina, degli appartenenti ai vari conventi e monasteri pistoiesi, del clero, delle varie associazioni di mestiere e dei diversi corpi sociali, delle rappresentanze dei comunelli del territorio.
Col tempo infatti le ‘precedenze’ sarebbero cambiate, seguendo il mutare dei criteri con cui erano stabilite le priorità d’importanza di ogni partecipante.
Ognuno riceveva una candela, da portare accesa alla processione, in segno di devozione a San Jacopo e di fedeltà alla Chiesa e alla patria cittadina.
Quale era il percorso e quando si svolgeva?
Il percorso della processione di San Jacopo iniziava dalla chiesa di San Francesco e seguiva, in modo più o meno ampio secondo i tempi, il circuito della prima cerchia di mura cittadine, per poi convergere, dall’attuale via degli Orafi, verso piazza del duomo e la cattedrale, dov’era, risplendente di lumi, la Cappella dell’Apostolo.
La processione patronale della vigilia si teneva al cader della sera.
Essa faceva parte delle altre iniziative festive, che comprendevano le solenni celebrazioni liturgiche del 25 luglio, festa dell’Apostolo Giacomo di Zebedeo, e la ‘corsa del palio’, con cui si concludeva, nel pomeriggio, tale giornata.
Solo dai primi decenni del Duecento emergono dai documenti rimasti le prove di queste consuetudini, rimaste pressoché inalterate per secoli, fino al termine dell’età moderna, a fine settecento.
Quello che i documenti non dicono, e che va ricavato indirettamente dal contesto della cultura religiosa del tempo, è il significato profondo della processione, che va considerata un vero e proprio ‘disegno’ allegorico della comunità cittadina nei suoi rapporti col santo patrono.
L’itinerario devozionale seguiva un più antico modello: quello della processione alto-medioevale organizzata dai canonici della cattedrale e dall’alto clero intorno alla prima e più antica cerchia di mura della città, con tappe stazionali, nel periodo delle Rogazioni, come vera e propria ‘lustratio urbis’.
In quel caso, i sacerdoti compiendo un itinerario sacralizzato esprimevano, coinvolgendo tutti i cittadini l’intenzione di offrire a Dio e alla sua protezione l’intera comunità.
Il modello della città in cammino verso la Salvezza era poi servito, nel corso del periodo compreso fra la seconda metà del secolo XII e l’inizio del XIII, quando la gestione del culto iacopeo divenne prerogativa del Comune (che ne aveva per così dire ‘espropriato’ vescovo e clero), a dare forma significante alla processione cittadina della sera della vigilia della festa di San Jacopo.
Nulla vi risulta casuale.
Il momento del giorno, quello del tramonto del sole: in cui l’avvicinarsi delle tenebre rendeva più pressante il ricorso alla protezione del Santo patrono contro la vis diaboli.
Il giorno della Vigilia: quello da sempre, nella civiltà cristiana, vissuto come giorno dell’ attesa della Salvezza e tempo delegato alla meditazione dei Sacri misteri della Fede, tempo di apertura alla Provvidenza e alla Speranza.
Il Luogo: quella piazza, nella quale in antico si eseguivano le esecuzioni capitali, tramutata in un luogo di speranza con la costruzione duecentesca della Chiesa di San Francesco : il santo dei poveri e del popolo, il nuovo polo religioso delle ‘periferie’.
Il percorso, lungo le mura della prima cerchia urbana: che conferma la formazione al più tardi duecentesca di questo rito processionale.
L’ultimo tratto, di ingresso alla piazza del duomo, attraverso l’attuale via degli Orafi: simbolo della volontà di ri-assunzione di tutta la storia antica della comunità cittadina, fin dai tempi dell’ Impero Romano, quando di era formato il centro abitato con il suo decumanus maximus (il cui percorso segue, appunto, via degli Orafi), asse urbano in direzione est-ovest, la stessa dell’orientamento adottato nelle chiese più antiche anche Pistoia, per significare il riferirsi al Salvatore.
A riguardo di questa antica processione ci sono nuovi studi?
Ultimamente, ricerche in area pratese, di prossima pubblicazione, sono servite a dare ulteriore rilievo alla presenza nella processione pistoiese dal secolo XV del Reliquario di San Jacopo, in argento dorato, monumentale opera di oreficeria sacra di Lorenzo Ghiberti e della sua bottega, eseguita nel 1407.
Concepito per l’ostensione pubblica della reliquia dell’apostolo Giacomo di Zebedeo (giunta secondo la tradizione da Santiago di Compostella, nella cui cattedrale si tramanda riposino le spoglie di tale santo seguace di Cristo), l’arredo liturgico, portato in tale processione, ne ha cambiato radicalmente il significato.
Mentre prima il percorso devozionale disegnava, lungo il perimetro della città, un itinerario di pellegrinaggio collettivo verso la sede culturale dell’apostolo, la cui reliquia restava occulta entro la ‘Sagrestia del Tesoro di San Jacopo’ (a imitazione degli infiniti ‘cammini di Santiago’ percorsi in tutta Europa verso la tomba dell’apostolo), in seguito dal Quattrocento, la processione divenne accompagnamento ‘festivo’ -quasi sul modello dell’ingresso di Cristo in Gerusalemme- di quel Reliquario da parte di tutti: cittadini, membri del governo e della Chiesa locale.
Quell’arredo liturgico prezioso e venerato rappresentava, agli occhi di ognuno, la presenza tangibile dell’apostolo, ne esprimeva il patronato nel momento in cui, con l’ostensione della sua reliquia, egli diffondeva sull’intera comunità la sua forza taumaturgica e la sua protezione, portato dagli stessi cittadini all’incontro diretto con la città, con le sue attese e i suoi bisogni.
In tal modo il ‘convergere verso San Jacopo’ era segno di conversione e affermazione di identità e unità dell’intera società che si era posta sotto il suo segno.
Tra non molto la diocesi vivrà il momento forte della festa del santo Patrono e sarà l’occasione in cui si potranno rivivere antichi riti..
La recentissima riproposizione di questo antico rito, da parte dell’attuale vescovo di Pistoia mons. Fausto Tardelli, insieme con il clero diocesano, mostra l’ avvenuto recupero di tutto il profondo valore allegorico di questa processione Jacopea: come percorso di meditazione spirituale ma anche in adesione ai caratteri del nostro tempo, dai forti richiami ecclesiali e dalla rinnovata attenzione per il significato universale, anche antropologico, dell’itineranza.
Daniela Raspollini
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