PISTOIA – In ricerca, disponibili ma anche disillusi e “avidi di tempo”. Questa la fotografia che la Chiesa di Pistoia ha scattato ai suoi ragazzi in vista del prossimo Sinodo dedicato al mondo dei giovani, ai quali la diocesi dedica uno speciale cammino, che passa dal rinnovamento del Centro Giovani attivo nel centro della città e dalla proposta dell’Ufficio di Pastorale Giovanile.
Sentendo le voci di giovani pistoiesi emerge un quadro fatto di luci e ombre, talvolta amaro ma anche molto acuto. Margherita (16 anni) è categorica: «la nostra generazione ha come maggiore difetto la mancanza di speranza». «Siamo una generazione ‘iperconnessa’– continua Margherita – ma non sappiamo connetterci tra di noi. È passato molte volte il messaggio che l’apparire sia più importante e più conveniente e semplice dell’essere, che basti essere aggiornati, condividere ogni parte della propria vita sui social per catturare le attenzioni di tutti e sentirsi speciale e apprezzati, quando in realtà siamo i primi a non apprezzare noi stessi, cercando disperatamente di piacere agli altri per colmare i nostri vuoti interiori». Anche Simone (16 anni) ha uno sguardo lucido sui suoi coetanei: «siamo una generazione che ha tutto a portata di mano e se qualcosa non è ottenuta subito ci si demoralizza, di qualunque cosa si tratti». Ma c’è anche «la presenza di molti ragazzi che hanno veramente voglia di fare, di mettersi in gioco e di essere utili per la società». «Nel volontariato – scrive Caterina (24 anni) – stanno infinite sfumature: paura, gioia, sconforto, condivisione, dolcezza ma soprattutto Amore che, come diceva Mansueto Bianchi, grande uomo e vescovo, va sempre a braccetto con la sofferenza come due inseparabili compagne di strada. Il volontariato è stato per me un amico con il quale sono cresciuta. Un compagno che non mi ha mai lasciata sola». L’esempio dei santi non lascia indifferenti; in loro i ‘millennials’ sanno ancora individuare dei sicuri punti di riferimento, come in «Santa Bernadette, piccola grande santa, – continua Caterina – nella quale ripongo tutta la mia gioia dei pellegrinaggi con l’Unitalsi. Vorrei tanto che tutti i giovani di questa terra, avessero qualcuno capace di trasmettergli la voglia di credere in Dio, anche quando sembra difficile faticoso. Ciò che si prova è indescrivibile». Alberto (20 anni) ha qualcosa da dire anche sul ministero sacerdotale: «non dovremmo trasformare il prete in un imprenditore, ma in un buon oratore, in un giusto uomo di Dio. Altrimenti, la corsa verso l’ultimo ritrovato in fatto di divertimento e di coinvolgimento sarebbe costantemente nelle mani del mondo secolare e la Chiesa ne uscirebbe vinta. La fede è un cammino, senza pastore i giovani si perdono». Nei giovani resta il desiderio di essere accompagnati da figure credibili, ma verso dove e verso chi? Qual è l’idea di Dio diffusa tra loro? Alberto prova a rispondere: «ho notato con mano che molti miei coetanei vivono chiusi nell’idea che chiunque sia Dio, non sia lì per loro, sia distante, disinteressato forse ci sia per caso». E il maggior ostacolo alla fede? Ancora una volta la risposta ci spiazza: «La lettura, la santa messa, la preghiera, il raccoglimento, l’adorazione, la meditazione, la riflessione… sono tutti processi che richiedono tempo. Il tempo è la nuova forma di monetizzazione, la nuova stima di costo delle attività. Ecco, in questi termini, Dio è la cosa più costosa di questo secolo. Costa troppo e i giovani credono di non poterselo permettere».