Immagine tratta dal videoclip di Fedez "generazione boh"

Nuovo appuntamento a cura del Centro Culturale “J. Maritain” . Don Armando Matteo, docente di Teologia fondamentale della Pontificia Università Urbaniana, presenterà una riflessione sul rapporto tra i giovani e la fede.

L’evento avrà luogo presso l’Aula Magna del Seminario Vescovile (via Puccini, 36 – Pistoia) giovedì 9 maggio alle ore 21. 00
Una recente indagine sui giovani (tra i 15 e i 20 anni) e la religione ha messo in luce gli aspetti positivi e negativi che le nuove generazioni vedono nella chiesa e nella trasmissione della fede. Numerosi sono gli aspetti positivi, assai maggiori quelli negativi. Soffermiamoci su questi.
Innanzitutto v’è l’aspetto biblico. Negli anni sessanta, J. Danielou, nel libretto “Genesi 1-11”, attestava che il racconto di Adamo ed Eva era la principale causa dell’abbandono della fede cristiana. Oggi il fenomeno è così deflagrato che introdurre in un discorso dotato di ragionevolezza con un giovane tali personaggi non è più motivo di critica, ma solo di commiserevole abbandono del dialogo. Poi, è indicata la questione della violenza del Dio dell’Antico Testamento, con i tratti così accentuati di nazionalismo, misoginia, intolleranza religiosa e non solo. Temi oggi molto sensibili, su cui sembra non bastare più la formula: “bisogna saper interpretare”.
Il secondo bersaglio critico è l’aspetto liturgico-sacramentale, dove i simboli della Tradizione cristiana hanno ormai smarrito del tutto, per i giovani, la loro potenza evocativa e significativa. Quindi compare l’aspetto sociale, dove a creare maggior distacco sono le ostentate ricchezze della chiesa e dei suoi testimoni, le mercificazione del sacro (statuette di padre Pio, souvenir dei luoghi di apparizioni della Madonna …), le discriminazione nei confronti del sesso femminile (sacerdozio solo maschile) e del diverso. E a proposito di sesso, le indicazioni sul tema ancora sostenute dalla Chiesa appaiono, alla stragrande maggioranza dei giovani, lontane ormai tre o quattro generazioni. Sugli aspetti prettamente teologici e su quelli scandalistici soprassediamo. Osservazioni, quindi, anche più dure rispetto a quelle emerse nel recente Sinodo dei giovani.
Dinanzi a questa situazione, nessuno meglio di Armando Matteo può aiutare ad orientare e interpretare. Da anni – a partire dal suo testo disruptive del 2009 «La prima generazione incredula» – il sacerdote si occupa della questione, con indagini sul campo, studi teorici, illuminanti riflessioni. La prima generazione incredula del titolo del libro è proprio quella dei nostri giovani, che non si oppone con virulenza alla religione, ma molto più semplicemente vive come se la questione religiosa fosse cosa che non li tange. Una generazione che relega la fede a dimensione di età infantile e quindi si chiede: «Ma cosa significa essere cristiani, quando non si è più bambini?». Armando Matteo ha uno sguardo lucido su questo problema: le attività ecclesiali relative al mondo giovanile sono impietosamente fallimentari, l’attuale pastorale giovanile non riesce a generare nuovi credenti, occorre avere la forza di smettere di fare “come si è sempre fatto”.
Sia chiaro che in tutto questo il colpevole non è tanto il giovane, quanto la generazione adulta che non riesce a trasmettere efficacemente il valore di ciò in cui crede e ha creduto. Anche in questo il teologo è icastico: «Viviamo in una società che parla tanto dei giovani solo per farli fuori», «facciamo fatica a sentire la mancanza dei giovani che mancano». È come se gli adulti continuassero a dire ai giovani: «non abbiamo bisogno di voi, vogliamo rimanere giovani noi». «Questo produce paralisi della fiducia, gli adulti, che dovrebbero essere coloro che traghettano i giovani verso la vita, in realtà fanno opera di contenimento, spegnimento delle passioni. C’è un grande disagio, un grido di giustizia dei giovani, perché quando gli adulti non fanno gli adulti, i giovani non possono fare i giovani». «La più grande bufala oggi in giro è che i nostri giovani siano il problema e noi adulti saremmo la soluzione». E nei periodi di crisi emergono, per reazione, le posizioni tipiche del semi-fondamentalismo, anche in ambiente ecclesiale: «Certamente questo approccio, le idee super-chiare e super-distinte, hanno una certa attrattiva, ma non mi sembra sia la risposta migliore, anche perché l’atteggiamento dell’irrigidimento è sempre una strategia a breve respiro… la specie umana non agisce così». Non la rassegnazione insegna Matteo, ma la speranza e il desiderio di recuperare: «il cristianesimo che abbiamo ereditato non è l’unica possibilità di cristianesimo». Di queste alternative potremo discutere con il teologo nella serata organizzata dal Centro Maritain.
A.V.

Armando Matteo è docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma. È stato assistente ecclesiastico nazionale della Fuci, dal 2005 al 2011. Tra i suoi numerosi saggi, ricordiamo «La prima generazione incredula», «Tutti muoiono troppo giovani», «La fuga delle quarantenni» (tutti Rubbettino editore), «Il Dio mite. Una teologia per il nostro tempo» (San Paolo, 2017); «La Chiesa che manca. I giovani, le donne e i laici nell’Evangelii gaudium» (San Paolo, 2018). L’ultimo libro in ordine di apparizione è «Tutti giovani, nessun giovane. Le attese disattese della prima generazione incredula» (Piemme 2018).