Le grandi religioni maestre di fraternità

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Intervista all’ on. Vannino Chiti, autore di un saggio dedicato al dialogo tra religioni

DI CARLO PELLEGRINI

Giovedì 14 maggio, tutti i credenti si sono riuniti in preghiera per chiedere a Dio la fine della pandemia. A questa giornata di preghiera papa Francesco ha assicurato la sua convinta adesione. Il senatore Vannino Chiti, più volte parlamentare, già vice–presidente del Senato e autore di un recente volume dedicato al dialogo tra credenti di confessioni diverse ( Le religioni e le sfide del futuro, 2019) ci offre alcune chiavi di lettura.

Senatore Chiti, quali sono le sue valutazioni circa la Giornata di Preghiera indetta dall’Alto Comitato per la Fratellanza Umana?

«La giornata di preghiera e digiuno che ha accomunato i credenti di molte fedi religiose si richiama al documento sulla fraternità umana firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e al Tayeb, grande imam dell’Università di al Azhar, il centro del mondo musulmano sunnita. Di rilievo il fatto che questa giornata di preghiera a Dio perché l’umanità riesca a liberarsi del coronavirus ha coinvolto non solo cattolici e musulmani ma donne e uomini di tante religioni. C’è un altro contributo che viene a tutti noi, anche ai non credenti: la preghiera comune all’unico Dio isola e sconfessa i fondamentalisti, i fanatici, i violenti. Tutti, sia religiosi che ideologico– filosofici. Vorrei sottolineare un altro aspetto: nella convocazione della preghiera e digiuno interreligiosi vi è, oltre che un rivolgersi e chiedere aiuto a Dio contro l’epidemia, anche un impegno perché il mondo del dopo coronavirus sia più giusto e solidale. È un messaggio a tutti: di speranza, fiducia, azione concorde per realizzare un futuro più degno, per mettere al primo posto il bene comune dell’umanità».

Di fronte a questa pandemia, a parer suo, quale potrebbe essere il ruolo delle grandi religioni nel rispondere al dramma che l’umanità sta vivendo?

«Le religioni parlano al cuore e alla mente. Per cambiare strada c’è bisogno di questo. E c’è bisogno di orientare le moltitudini. Le religioni possono farlo. A volte ciò è avvenuto in modo negativo, quando sono state rese subalterne e strumento del potere degli Stati. Se fanno parlare il nucleo vero del messaggio di Dio e l’amore verso il prossimo, potranno contribuire, nel rispetto delle reciproche differenze,

a fare incamminare l’umanità verso nuovi orizzonti. Prioritari sono la dignità di ogni persona, uno sviluppo giusto per la tutela del nostro pianeta — non ce n’è un altro! — e per chi ci vive, la non violenza e la costruzione della pace. Senza l’apporto delle religioni questi obiettivi sono irrealizzabili. Le donne e gli uomini che hanno una fede religiosa sono indispensabili. Naturalmente non è sufficiente. Occorre un impegno che possa unire credenti e non credenti, religioni, culture e scienze, insomma quanti mettono al primo posto il bene comune dell’umanità ».

Quali riflessioni le suscita questa situazione complessa?

«Viviamo una fase difficile, imprevista, che sconvolge abitudini di vita. Avremo di fronte a noi mesi difficili perché dovremo, fino alla scoperta del vaccino, convivere con il coronavirus e continuare a seguire regole di prudenza. Al tempo stesso l’economia avrà serie difficoltà e subirà forse riduzioni il benessere conquistato. Già molti sono scivolati in condizioni di povertà e precarietà, nelle nazioni più avanzate e in quelle già più arretrate. Bisogna non rassegnarsi. Questa tremenda epidemia dovrebbe averci fatto capire che nessuno — né un popolo né le singole persone — ce la fanno da soli. Se riscopriamo la solidarietà, l’essere l’umanità un’unica famiglia potremo costruire un futuro più degno. Non è scritto. Dipende da noi. Bisogna provarci. Penso, e mi è capitato spesso di dirlo, che papa Francesco sia un dono non solo alla Chiesa ma al mondo. Ci ha indicato una strada da percorrere. L’enciclica Laudato si’ è un riferimento non solo per i cattolici o i credenti ma per tutti. Proviamoci. Ne vale la pena».