Nativo del paese vicino a Piteglio Paolo Andreotti è stato pastore molto apprezzato ”padre amorevole” di una terra lontana

di Ugo Feraci

Da Prataccio al Pakistan, l’esistenza di Paolo Andreotti affascina ancora a distanza di 25 anni dalla morte. Nato nel 1921 e battezzato con il nome di Vieri lasciò la casa paterna a solo 12 anni, quando entrò nel Seminario dei frati Domenicani. Dovette difendere la sua vocazione alla vita religiosa prima dall’opposizione del padre, poi, nel suo desiderio missionario — chiaramente indicato dal nome dell’apostolo Paolo preso per la sua nuova vita religiosa —, dalle intenzioni dei superiori. Nel 1939 aveva emesso la sua professione religiosa e nel 1947 fu ordinato sacerdote. L’anno seguente era già in partenza per il Pakistan dove avrebbe trascorso tutta la vita.

Nei suoi primi decenni di attività si occupò dell’insegnamento a Khuspur, impartito a cristiani e non, rivelando le sue qualità di persona attenta all’educazione, ma anche alle necessità pratiche della gente, svolgendo con umiltà e intelligenza le sue funzioni. Profondamente inserito nel carisma dell’ordine domenicano aveva una forte attenzione per la vita comunitaria, l’esigenza apostolica, la chiarezza dell’insegnamento nella fedeltà alla Chiesa. Dopo il trasferimento a Faisalabad si occupò da vicino delle esigenze concrete e spirituali del popolo, come dalle opere dell’ordine nella regione. Nel 1969, tornato a Roma, fu elettto superiore della provincia Romana. Fece ritorno in Pakistan dopo tre anni, nominato vescovo ausiliare di Faisalabad. In quella diocesi rimase anche dopo il 1976, quando subentrò al suo ordinario.

Da vescovo accrebbe il suo amore per i piccoli e i poveri: fondò un istituto per disabili e si occupò di promuovere l’educazione e la catechesi, svolgendo un apostolato di prossimità, fatto di visite cordiali, di telefonate, di generosità concreta, di viva sensibilità ai problemi. Di fronte alle difficoltà amava ripetere: «Coraggio, tutto andrà bene nella volontà di Dio». Lasciò l’episcopato nel 1984 continuando a svolgere attività spirituali e dedicandosi all’erezione del seminario interdiocesano di Lahore.

Nel 1995 fece rientro in Italia viste le sue già critiche condizioni di salute e il 10 luglio di quello stesso anno il Signore lo chiamò a sé. «Umile e nascosto, Monsignor Paolo non è mai stato molto presente nella nostra comunità ecclesiale, però egli è un figlio autentico della nostra terra». Così lo ricordava monsignor Giordano Frosini, nell’omelia pronunciata in occasione della sua messa funebre a Prataccio. «Le sue caratteristiche rispecchiano fortemente le caratteristiche di queste popolazioni: umile, modesto, forte. Ora la sua Chiesa, la sua terra lo accoglie per l’ultimo riposo. Si scrive — continuava Frosini —: “Beati i morti che muoiono nel Signore, perché le loro opere li seguono”. Noi promettiamo di custodire non soltanto le sue spoglie, ma anche la sua memoria, la sua fede, le sue opere. La Chiesa pistoiese lo dovrà ricordare fra i suoi santi missionari, la Chiesa pistoiese lo ammette nel suo martirologio, con l’augurio e la speranza che il suo esempio venga raccolto da tutti, in particolare dalle giovani generazioni».

Nel 25° anniversario della morte il vescovo Tardelli celebrerà una messa in ricordo di monsignor Paolo Andreotti (1921–1995), frate domenicano e vescovo missionario in Pakistan. Monsignor Tardelli sarà a Prataccio, paese natale di padre Andreotti, venerdì 10 luglio alle ore 11, dove presiederà una celebrazione eucaristica all’aperto. Monsignor Andreotti è sepolto nella chiesetta della Madonna del Carmine a Prataccio, ma il suo ricordo resta vivo anche grazie a un cippo collocato nel paese e realizzato dalla Pro loco e dalla sezione locale della Misericordia, inaugurato nel febbraio 2016. In Pakistan Andreotti fu vescovo di Faisalabad dal 1976 al 1984, ma in quella città, metropoli di 3 milioni di abitanti nel Punjab, nel nord del paese, visse per 47 anni lasciando una viva memoria di sè.