Lungo il “filo” della dignità dell’uomo, attraverso l’enciclica “Fratelli tutti” per ripensare i diritti umani alla luce della “persona”

di Ugo Feraci

Da dove ripartire per vivere da fratelli? Per tenere il filo dell’ultima enciclica di papa Francesco provo a farlo dalla dignità di ogni persona umana. Però in Fratelli tutti c’è una premessa importante: «pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà» (n. 6).

Dalle migrazioni ai diritti dei popoli, dalla politica alla riforma dell’Onu, dal dialogo al perdono, dal ripudio della guerra e della pena di morte, è possibile seguire il riferimento alla dignità umana. Ne parla nell’apertura, «Desidero tanto che (…) riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità» (n.8) e la riprende nella preghiera finale («Signore e Padre dell’umanità, che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità…»). “Dignità” per papa Francesco, fa davvero rima con “fraternità”, come suggerisce la parabola del buon samaritano (cap. II), ma l’invito a sentirsi fratelli riflette «una caratteristica essenziale dell’essere umano» (n. 68): «siamo fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile». È il timbro di un pontificato, esplicitato con gesti più o meno eclatanti, che richiama alla “legge dell’estasi”, secondo la quale siamo fatti per «uscire verso l’altro» (n. 88), ma da cui discendono importanti conseguenza pratiche: «è possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo» (n. 78). Che si tratti di impegno “artigianale” per la pace oppure di perdono e gentilezza, il Papa torna sempre a questa dinamica di coinvolgimento personale, in cui, come ricorda la parabola, la domanda su chi è il mio prossimo si trasforma in un appello a farsi prossimi (nn. 81–82). Un pre–Vangelo sine glossa che trova forza (e limite) proprio nella facilità di passaggio tra l’impegno del singolo e quello comunitario o degli stati. Una dinamica dettata dall’amore, a cui il Papa dedica alcuni numeri nell’attacco del terzo capitolo.

Qui, però, sta anche un passaggio assai significativo. «La fraternità – scrive in un paragrafo intitolato “Liberta, uguaglianza, fraternità” – non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità». Occorre rileggere quella triade moderna a partire dalla fraternità: senza la fraternità, continua Francesco, la libertà diventa «pura autonomia» «solo per possedere e godere». Altrimenti non si costruisce un mondo di fratelli, ma di “soci”: cioè gruppi separati, aggrappati a un’identità, forti di interessi di parte. Un’angolatura diversa, dunque, da cui guardare ai diritti perché non restino imprigionati in una logica individuale se non individualista che si poggia su un «un riconoscimento basilare, essenziale»: «rendersi conto di quanto vale un essere umano …sempre in qualunque circostanza» (n. 106), perché la dignità della persona umana «non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere». Nella sua stessa radice, prosegue il Papa, «abita la chiamata a trascendere se stessa nell’incontro con gli altri» (n. 111).

«Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale» (n. 213) che ogni intelligenza può afferrare, anche oltre il proprio credo: per i credenti come per gli agnostici afferma il Papa: «questo principio potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non negoziabili». Soltanto nell’ultimo capitolo, Francesco ammette che «come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di Tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità» (n. 272). Affermazione che può sorprendere a questo punto e che è sorretta da citazioni ad hoc di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma intanto il dialogo è aperto, il cammino tracciato. «Come credenti delle diverse religioni — chiude Francesco nel suo stile — che rendere presente Dio è un bene per le nostre società …altri bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo» (n. 277).