Il direttore Caritas Marcello Suppressa racconta la crisi dovuta alla seconda ondata. Una Chiesa in ascolto delle famiglie, tra i soggetti più colpiti dall’epidemia

di Michael Cantarella

Dietro la malattia, fatta di sofferenza fisica e dell’anima, oltre la preoccupazione per i nostri cari, chiamati a combattere da soli al personale battaglia al Covid-19, c’è l’altra epidemia. Quella più subdola, quella economica e sociale. È partita nel 2008, lentamente. Poi è tornata nel 2011, più forte. Ma è la terza ondata, quella post Coronavirus, quella che fa più paura e che porta le persone a fare realmente i conti con una concreta possibilità di peggiorare la propria situazione. I primi segnali sono già evidenti nei centri Caritas, che hanno chiaro il polso della situazione.

«La paura e l’ansia di ammalarsi e di impoverirsi sono i sentimenti che maggiormente ricorrono nell’incontro con chi si rivolge ai centri di ascolto – afferma Marcello Suppressa direttore e delegato regionale Caritas -. Famiglie che prima della pandemia vivevano dignitosamente grazie al proprio lavoro, autonomo o dipendente oppure troppo spesso precario e non tutelato. Poi ecco l’occupazione lavorativa che non c’è più, o che si è ristretta in termini di orario e retribuzione, che diventa la causa principale che spinge le persone in una condizione d’indigenza o grave difficoltà economica in poco tempo. Se poi si assomma a tutto questo il ritardo con cui i lavoratori hanno percepito la Cassa Integrazione possiamo dire che la frittata è fatta, purtroppo».

«I nuovi volti incontrati da Caritas – continua Suppressa – sono circa un quarto del totale. Per tutte queste persone e famiglie, che i dati ci confermano nella loro drammaticità, la pandemia sul nostro territorio Diocesano è stata un terremoto vero e proprio nella loro quotidianità, che ha minato alla base la “stabilità” di una vita che si muoveva su una via decorosa per sé e per i propri cari. Via che si è trasformata in una corsa ad ostacoli che crea insicurezza e quindi paura ed ansia per il presente e per il futuro dei propri cari». Un lavoro complesso quello effettuato dall’equipe diocesana che ha dovuto rimodulare gli interventi sui casi “periferici”, moltiplicando le iniziative e il coordinamento con gli enti locali: «In questo contesto la Chiesa Pistoiese ha dato prova di fedeltà al Vangelo dell’amore tendendo la mano a coloro che si trovano in una situazione di forte disagio, povertà e vulnerabilità – annota il direttore Caritas -. Lo abbiamo fatto sin da subito con i nostri servizi di prossimità sempre aperti ma rimodulando l’organizzazione senza mai arretrare. Così hanno fatto le comunità parrocchiali dove sono presenti Caritas parrocchiali o gruppi caritativi che di fronte ai nuovi e crescenti bisogni, con il coinvolgimento delle comunità e l’attivazione solidale, hanno moltiplicato le iniziative di prossimità. Si sono create collaborazioni, sinergie con gli enti pubblici e privati, realtà del terzo settore, aziende e singole persone. Possiamo dire che, nonostante le paure che serpeggia anche fra chi si occupa di volontariato, abbiamo notato una certa vivacità di iniziative ed opere che hanno rinfrancato membra affaticate e sofferenti». L’esperienza ci insegna, lo abbiamo visto con i nostri occhi, molte vite riprendono a germogliare e fare i frutti e questo accade quando camminiamo insieme ai fratelli in difficoltà, affrontando il deserto arido della sofferenza con la pazienza, l’ascolto, la tenacia e con la tenerezza per far emergere la voglia di rialzarsi dopo una caduta. Questo si fa «tendendo la mano al povero» che diventa poi incontro e questo incontro deve portare frutto.

«È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri, accogliendoli nella quotidianità della nostra vita e della vita delle nostre parrocchie, delle associazioni di volontariato, nei servizi. La preoccupazione per i poveri non è solo come poterli aiutare, ma come lasciarsi interpellare dal povero». «Ci stiamo avvicinando all’Avvento – conclude Suppressa – ed è il momento propizio per aprire gli occhi per guardarsi intorno, ascoltando il cuore per riconoscere il volto di Dio per accoglierlo e per accogliere l’altro. Facciamo appello perché non manchi il sostegno i servizi che la diocesi attraverso la Caritas ha messo in campo (centri di ascolto, mensa, emporio della solidarietà, distribuzione vestiario, orientamento legale, servizi legati alla salute come acquisto farmaci, acquisto occhiali, servizio odontoiatrico e sostegno all’abitare come pagamento utenze e affitto o mutuo) perché siamo messi alla prova sia dal punto di vista delle risorse economiche e sia per quelle umane per il volontariato»

Tra alloggi di fortuna e accoglienza informale crescono i disagi nella ricerca della stabilità

L’emergenza sanitaria ha fatto emergere con forza quelle situazioni di grande precarietà, in particolare quelle legate ad abitazioni precarie e residenze provvisorie, persone cioè che non possono contare su contratti di affitto o di accoglienza formali, ma che invece godono di abitazioni tramite accordi informali e spesso illegali, come ad esempio affitti a nero, senza regolare contratto, o addirittura accoglienze presso amici o parenti, se non vere e proprie situazioni di subaffitto, sempre non regolate da alcun contratto. Chiaramente queste soluzioni abitative espongono le persone a un alto di caduta in condizioni di marginalità abitativa grave, cioè con il rischio di ritrovarsi da un giorno all’altro senza un posto dove stare.

La situazione di emergenza sanitaria inoltre, ha acuito le difficoltà per queste persone, spesso prive delle necessarie garanzie per accedere al mercato immobiliare privato, nel reperimento di un’altra sistemazione. I locatori già molto diffidenti, lo sono diventati ancora di più, perché se pur è vero che in un momento anche di crisi economica come quello che stiamo vivendo, ogni risorsa in più è benvenuta, è pur vero che l’incertezza derivante da questa situazione spinge anche a una maggiore attenzione (ad esempio una misura come il fermo a tutte le esecuzioni di sfratto, aiuta sicuramente il locatari, ma allunga notevolmente i tempi di liberazione di un immobile da parte del locatore, il quale quindi è ancora più restio a concedere il proprio immobile a una persona in difficoltà).

Un altro dato a conferma di quanto detto sembra essere il forte aumento di situazioni di sovraffollamento, che è forse la problematica che subisce la maggiorazione percentuale più importante. In mancanza di soluzioni abitative, tramite contatti con amici o parenti, spesso si ricorre a soluzioni di coabitazione e subaffitto (a nero e spesso anche all’oscuro del locatore), in abitazioni non adeguate.