Giovani e web, focus con il dottor Stefano Lassi, membro Cei per la tutela dei minori

di Dario Cafiero

Nella rapidissima evoluzione digitale che si è compiuta nell’ultimo trentennio – caratterizzato prima dalla comparsa dei compute “casalinghi” poi progressivamente ridotti a telefoni cellulari con migliaia di funzioni – le generazioni che hanno più rapidamente avuto a che fare con questi strumenti sono senza dubbio la generazione Z (quella dei nati tra il 1995 ed il 2010) e la generazione Alfa (dal 2010 in poi). Adolescenti e bambini con una conoscenza tecnica accelerata dalla diffusione e immediata comprensione di molte tecnologie – lo scorrere dei video su Youtube, l’utilizzo dei motori di ricerca, l’approdo sui social network – a cui non ha fatto seguito un’effettiva educazione reale al corretto uso di queste piattaforme, così ampie di contenuti, di possibilità e di rischi, come è emerso in tutta la sua interezza negli ultimi giorni anche sulle cronache nazionali.

«La scarsa conoscenza tecnica degli strumenti da parte della generazione genitoriale e di chi educa i più giovani – sottolinea il dottor Stefano Lassi, psichiatra e psicoterapeuta, membro del consiglio di presidenza del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori – trova a confrontarsi con adolescenti e bambini che vi si approcciano in modo del tutto spontaneo. Situazione che è stata ancor più messa in risalto nell’ultimo anno, dove con il Covid le differenze si sono manifestate nella loro evidenza».

Un primo strumento di gestione dell’accesso alle piattaforme e di salvaguardia dei minori è senza dubbio il parental control, un “filtro familiare” in realtà già presente da anni su numerose piattaforme (smartphone, televisori e relative app, ma anche gestori telefonici, videogiochi e motori di ricerca) che consente una prima scrematura andando a limitare gli accessi da parte dei minori (e non solo) a contenuti potenzialmente sensibili o pericolosi. Un’azione tecnica ovviamente non risolutiva, ma comunque utile, a cui aggiungere l’esigenza di una vera e propria educazione a questi strumenti. «L’accesso ai contenuti online – sottolinea Lassi – comporta per i minori una serie di benefici e di rischi. Se tra i primi possiamo annoverare molte delle cose emerse durante i lunghi mesi di didattica a distanza ed un approccio a tecnologie che risulteranno sempre più fondamentali per l’accesso al mondo del lavoro, i rischi sono in realtà ancora non del tutto ben considerati».

Tra i tanti rischi che gravano sul presente (e sul futuro) dei minori, Lassi ne individua quattro tra i principali. «Il primo rischio ha ormai una rilevanza scientifica, essendo attenzionato da anni da più ricerche in ambito universitario – prosegue Lassi. L’aver permesso l’accesso per molte ore agli smartphone e relative applicazioni fin da bambini, pur in presenza di varie normative nazionali che tentano di limitarne il fenomeno, ha portato negli ultimi anni all’aumento di insorgenza di disturbi depressivi, di ansia, psicosomatici e di insonnia». Fenomeni che non solo gravano sui minori nei primi anni, ma che portano strascichi anche nel corso della crescita.

«Il secondo fattore di rischio – precisa Lassi – è l’accesso a quelle stesse piattaforme di persone con l’intento di adescare minori e di un utilizzo criminale dello strumento, con il rischio di diffusione di contenuti su altre piattaforme.

Il terzo invece lo si può assimilare all’aspetto psicologico che spesso si verifica nei minori, cioè il non riuscire più a comprendere la realtà online da quella offline, andando a creare due differenti personalità, spesso completamente divergenti. Se il presunto anonimato e la possibilità di poter scrivere quasi qualsiasi cosa dell’online pare fortificare la personalità del minore, il mondo “reale“ viene talvolta minato dalle difficoltà di approccio alle situazioni, andando a minare le certezze e l’autostima».

Un rischio, quest’ultimo, che si collega in modo quasi automatico con il quarto, ed ultimo, individuato dall’approfondimento del dottor Lassi: lo spirito d’emulazione degli ormai onnipresenti influencer, spesso anche loro giovanissimi, in grado di condizionare con i loro contenuti molti dei comportamenti di bambini, bambine, ragazzi e ragazze. «La figura dell’influencer – sottolinea Lassi – talvolta in modo malizioso o narcisistico, abitua i minori a realtà fittizie abilmente costruite con la creazione di immagini artificiali e spesso legate a finalità pubblicitarie. Ma non sono solo le pubblicità, più o meno esplicite, a condizionare i più giovani: gli stili di vita resentati sono dei modelli di riferimento per i più giovani ed il fatto che alcuni di questi influencer ormai siano a loro volta giovanissimi aumentano la voglia di emulazione. In questo senso c’è bisogno di far comprendere le responsabilità legate alla popolarità a queste figure ormai così rilevanti tra i giovanissimi»