La vita nella Casa del Ragazzo e il profilo di un protagonista della nostra diocesi che occorre riscoprire all’indomani della sua morte
di Ugo Feraci
«Un uomo semplice, ma con un cuore immenso». Alvaro Bartoli, avvocato pistoiese classe 1941, ha gli occhi lucidi di commozione. La voce svela il coinvolgimento di chi racconta gli affetti più cari e smuove ricordi decisivi. Alvaro è uno dei “ragazzi” di don Taddei, oggi quasi tutti nonni, almeno anagraficamente, ma ancora legati da una robusta amicizia e dall’affetto per il fondatore di quella del Casa del Ragazzo che li ha ospitati negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza.
Alla Casa del Ragazzo, attiva dal dopoguerra fino al 1975, prima nella sede di Monteoliveto, poi nella struttura oggi occupata dal Centro Maic di Pistoia, c’erano orfani o giovani con le più diverse difficoltà. Alla casa si arrivava tramite gli enti che all’epoca si occupavano dell’infanzia, come l’Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia) e l’Eca (Ente Comunale di Assistenza), poi c’erano i figli illegittimi, i ragazzi segnalati da sacerdoti o altre istituzioni». Bartoli non esita a mettere don Italo accanto ai grandi “fondatori” del secolo scorso come don Gnocchi o don Facibeni.
Unico, in effetti, era anche lo “stile” proprio della Casa. Non c’erano educatori, nè assistenti o professionisti del mestiere. «Avevamo un regolamento — racconta Bartoli — che era un indirizzo di vita, perché responsabilizzava ognuno dei ragazzi: tutti avevano un piccolo compito da assolvere, chi nella pulizia, chi in biblioteca, chi in cucina e quando si iniziava una cosa bisognava portarla in fondo. Don Taddei ci ammoniva sempre di non lasciare le cose a mezzo, ma di portarle a compimento con fedeltà e abnegazione. E poi, a differenza dei collegi, la casa di basava nel rapporto educativo dei più grandi nei confronti dei piccoli. Chi era più avanti diventava un punto di riferimento. Anche a tavola c’era un aspetto familiare, pranzavamo a tavoli di quattro e don Taddei era attorniato dai ragazzi più piccoli. La mattina andavamo a scuola, ognuno alla sua, e a volte accompagnava qualcuno anche lui. Era sempre lui a parlare con gli insegnanti, ma portava con sè anche i ragazzi più grandi, perché fossero coinvolti nell’educazione dei compagni. Questa — continua Bartoli — era una caratteristica propria della casa: una comunione strettissima che continua ancora. La nostra era una famiglia allargata, una comunità sensibile. In diversi casi don Taddei era andato a cercare le famiglie naturali, specialmente quando c’era la richiesta esplicita dei ragazzi abbandonati, anche se alle volte si è trovato la porta sbattuta in faccia. Accanto allo studio si preoccupava di inserire i suoi ragazzi nella vita cittadina, soprattutto desiderava che emergessero e che ognuno potesse sfruttare le doti che possedeva».
Molti poi, ricordano la Banda Primavera, una vera e propria orchestra molto attiva in città: «don Taddei si era dato da fare perché tutti, grazie all’aiuto del maestro Morosi, imparassero a suonare o a cantare. Insieme andavamo a esibirci in città per diversi eventi, a Pistoia ma anche fuori, a Bologna, Milano e una volta a San Pietro. Suonammo anche a Collodi, all’inaugurazione del monumento a Pinocchio di Emilio Greco».
Don Taddei viveva il suo ministero come padre e pastore: «non ha mai obbligato nessuno dal punto di vista religioso. La sua identità di sacerdote traspariva da una vita concreta, da un comportamento cristiano, di aiuto. “Tirava su”, come il buon samaritano. Quando c’era da rimproverare lo faceva, ma non tagliava mai i ponti, voleva sempre essere di incoraggiamento, di sostegno, di aiuto. Non era solo nel suo impegno: lo aiutavano la sorella Anita che sovrintendeva un po’ alle faccende pratiche della casa e poi c’erano le signore di cucina». «Negli ultimi anni, appena rammentavo i cognomi o i nomi dei ragazzi — ricorda Bartoli— gli si illuminavano gli occhi: per lui erano tutto. Una volta organizzai per rivedersi tutti insieme, tanti dei suoi ragazzi erano già contattati, ma non volle. Diceva che non avrebbe retto l’emozione».
Una personalità forte e straordinaria
Don Italo Taddei (Limite sull’Arno, 1919- Roma, 2021) non amava affatto esporsi o dire di sè, ma di storie da raccontare ne avrebbe avute tante. Una foto datata 1968 lo ritrae insieme a Madre Teresa. Con lei ebbe contatto quando venne a Roma. E fu lui a trovare una sede per il suo primo convento nell’Urbe. Sebbene costantemente impegnato nella Casa del Ragazzo don Taddei era anche referente dell’Uneba (Unione Nazionale Enti di Beneficenza e Assistenza) in Pistoia, per la quale ha partecipato a numerosi incontri e convegni internazionali, nonché conoscente del cardinale Tardini, segretario di Stato fino al 1961 e anche lui impegnato nell’accoglienza di orfani e ragazzi poveri. Con i suoi ragazzi ha partecipato ad alcune Mariapoli e per Chiara Lubich nutriva profonda stima e affezione. Don Taddei, tra l’altro, è stato per anni cappellano alle Officine Meccaniche Pistoia e per un breve periodo anche parroco di Saturnana. A lungo, inoltre, fu fedele collaboratore del canonico Migliorati, per oltre cinquant’anni direttore della Vita Cattolica (l’antenato di questo settimanale). In molti ricordano la sua dedizione per i poveri e i suoi frequenti “giri” nel quartiere di San Marco, allora tra i più miseri della città, per aiutare famiglie o donne di strada.
Ripercorrendo i suoi anni pistoiesi emerge il profilo di un uomo dalle mille risorse, attento ad agganciare personaggi anche in vista per il bene dei suoi ragazzi: alla Casa del Ragazzo portò Gino Torriani, storico organizzatore del Giro d’Italia, dalla Ricordi di Milano riceveva dischi e aiuti economici, alla Rai scriveva per contestare, a difesa dei suoi “mulattini” nati durante la guerra, il razzismo di certe trasmissioni.
Negli anni Settanta però, di don Italo si trovano scarse notizie negli atti ufficiali della Diocesi. Anche la Casa del Ragazzo sembra passare in secondo piano. Il clima politico e culturale era cambiato, la contestazione aveva politicizzato anche l’impegno, i vecchi enti assistenziali cedevano il passo a nuove forme di accoglienza familiare. Nel dicembre 1975, con grande amarezza di don Italo, la Casa del Ragazzo fu chiusa. Nel 1977, al seguito del cardinale Benelli si era aperta per lui un’altra strada che lo avrebbe portato definitivamente fuori Pistoia. (U.F.)