di Suor Delfina
«Eppure Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori. Maltrattato, si è lasciato umiliare e non aprì la sua bocca». Il tempo della sua vita terrena sta per concludersi. Gesù entra in Gerusalemme per portare a compimento il suo mistero pasquale. La grande folla che è venuta per la festa, gli va incontro sventolando rami d’olivo e gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele».
Passerà poco tempo e la folla griderà di nuovo e più forte che «Gesù sia crocifisso». «Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, dopo averlo fatto flagellare, lo consegnò perchè fosse crocifisso» (Mt 27,23-24). Con questi stralci di Vangelo, la Liturgia ci ha introdotti nella grande settimana in cui morte e vita si affrontano nel duello che, comunque sarà “prodigioso” perchè il Signore che era morto risorgerà e trionferà.
Dall’ambone della chiesa di San Biagio, dove partecipo all’Eucarestia, annunciano la lettura della “Passione del nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco” cioè del racconto di tutte le sofferenze fisiche e morali di cui Gesù si è fatto carico per amore nostro. Un racconto attraversato dal mistero del male e del dolore che hanno sfigurato il suo corpo e ferito la sua anima. C’è nel racconto tutto quello che, umanamente, Gesù poteva patire: il tradimento e la vendita del suo corpo per trenta denari, l’abbandono dei suoi discepoli, il rinnegamento di Pietro, la derisione, lo schiaffo, gli sputi, la viltà e i compromessi, l’indifferenza, l’umiliazione e persino la curiosità di chi, passando, guardava verso l’altura del Golgota dove Egli pendeva, crocifisso, tra due ladroni. Ci sono tutti i patimenti fisici: le percosse, i colpi dei flagelli, la coronazione di spine, il peso di quel pezzo di legno che scarnificò le sue spalle. Infine il dolore dei chiodi, l’arsura della gola. Poi la morte e la sepoltura del corpo nel sepolcro nuovo.
Nei giorni di questa grande settimana torneremo a ripercorrere il percorso doloroso di Gesù dal Sinedrio al Calvario. Nel cuore del venerdì Santo saremo invitati a contemplarlo sofferente e morente. È un uomo sfigurato, macerato. Le sue ferite sanguinano ma è «per le sue piaghe che noi siamo stati guariti».
Quest’uomo percosso e crocifisso rassomiglia ai tanti fratelli e sorelle che soccombono sotto il peso della tribolazione, della povertà, della malattia, della guerra e dell’odio, dello sfruttamento e della solitudine. Quante vite umane sono attraversate dal male e dalla morte! A quante mancano il sostengo nelle necessità, il calore dell’amicizia, il conforto nel dolore, la mano tesa per potersi rialzare. Guardando il Crocifisso, non posso che lasciare spazio alla gratitudine più profonda a un Dio che ha mandato suo Figlio a farsi carico delle mie colpe e ad addossarsi i miei dolori. Per «quel debito dell’amore vicendevole» anch’io, senza indugio devo farmi carico di quanti percorrono lo stesso tragitto di Gesù: dal Sinedrio al Golgota. Come? Senza sentire il peso di ciò che faccio, senza calcolare quanto do e quanto ricevo, senza attendere ricompensa e neppure gratitudine.
Mi affiora il ricordo di quella bambina africana di otto anni circa che portava sulla sua schiena, avvolto nel grande foulard il suo fratellino. Le domandai se riusciva a reggere quel peso. Mi rispose: «Certo, non mi costa fatica: è mio fratello». Gesù è morto anche per questo: perchè vivessimo da fratelli e sorelle.