di Suor Delfina

La terra in cui sono nata è ricca di tante ed enormi pietre. Da piccola credevo che quella messa e sigillata all’entrata del sepolcro di Gesù, fosse stata presa nei miei campi. Vedevo però quanta fatica richiedeva la loro rimozione per poter rivoltare e preparare il terreno per la semina. Quella fatica, mai dimenticata, riaffiora leggendo nei Vangeli della Pasqua la preoccupazione delle donne accorse, di buon mattino, al sepolcro per ungere con oli aromatici il corpo di Gesù: «Chi ci farà rotolare via la pietra dal sepolcro? Alzando lo sguardo osservarono che la pietra, benchè fosse molto grande era già stata rimossa » (Mc 16,3-4). Fu così, solo così che Pietro e Giovanni poterono entrare nella tomba, vedere i teli, le bende abbandonate, il sudario. Videro e credettero. Cristo Risorto irruppe nella loro vita. «Fino a quel momento non avevano ancora capito la Scrittura che cioè, Egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20,1).

Forse, anch’io non ho ancora capito che cosa significa celebrare la Pasqua del Signore, entrare nel suo mistero di morte e di risurrezione, sperimentare l’immenso dono del suo amore e del suo perdono. Tre sono i verbi che sollecitano la mia riflessione :rimuovere, abbandonare, sorgere di nuovo. Mille ostacoli impediscono ancora l’irruzione del Signore nella mia vita. Piccole o grandi pietre continuo a porre all’ingresso del suo sepolcro: la stoltezza, la lentezza di cuore, l’opacità degli occhi, la fiacchezza delle ginocchia, la pigrizia dell’intelligenza, il grigiore della nebbia in cui è avvolta la mia quotidianità. Nel mistero della Pasqua si entra rimuovendo in primo luogo tutto ciò che ostacola l’accrescimento della mia fede. L’incontro con lui richiede la forza per rompere tutti i lacci che mi avvincono alle cose della terra che tarme e ruggine, nel tempo, consumano. Pietro e Giovanni entrando nel sepolcro videro e toccarono con mano che Gesù, risuscitando, nulla aveva portato con sè, di quanto sapeva di morte: nè il lenzuolo in cui era stato avvolto, nè il sudario. Il risorto dal corpo intoccabile è ora l’uomo libero da ogni condizionamento. Anche la mia vita dovrebbe essere imitazione della sua. Sì, libera da ogni condizionamento, da ogni attaccamento, da ogni affanno per le cose che passano.

Pasqua è ancora il tempo di grazia per “sorgere di nuovo”, per rimettersi in piedi, per restare in contemplazione. Ovunque sono disseminati segni di vita: fuori e dentro di me. Devo riuscire a scorgerli e lasciare che mi invada lo stupore per tutte le persone e le cose belle e buone che incrocio lungo la strada. Negli anni della mia infanzia (anni lontani) le campane del Gloria si scioglievano non nella notte ma al mattino del sabato Ai primi rintocchi dovevamo correre verso la fontana per bagnare e ribagnare gli occhi. Quell’acqua fresca, togliendo ogni ombra di opacità dava una lucentezza nuova. Ho ripetuto quel gesto per tutta la vita desiderando capacità di discernimento e di lungimiranza. Rimosse le pietre, alleggerito il peso delle mie colpe con la grazia del suo perdono, sento in me la forza della ripartenza. La Pasqua rimane “il primo dei giorni” che mi restano da vivere.