DI DANIELA RASPOLLINI

Da millenni unisce l’Europa da nord a sud ma soltanto da pochi anni è stata riscoperta come via da percorrere a piedi, nel ritmo lento e aperto alle sorprese della vita e di Dio. Parliamo della Romea Strata, un tracciato di strade che oggi coinvolge numerose realtà nazionali e internazionali, ecclesiali e non solo nato da un’intuizione dell’ufficio pellegrinaggi della Diocesi di Vicenza. Il direttore don Raimondo Sinibaldi racconta l’originalità di questa proposta.

Don Raimondo, cos’è la Romea Strata?

La Romea Strata è un cammino di cultura e di fede che unisce il Mar Baltico a Roma. Cultura e fede in che senso? È iniziata già dal 1600 a.C., quando l’ambra veniva trasportata dal mar Baltico al Mediterraneo. Un cammino commerciale che è diventata nel tempo via di transito nei popoli. Poi con il Cristianesimo è diventata via di pellegrinaggio. Su questo tracciato stiamo indagando 30 filoni diversi di cultura e fede: la via dell’ambra, del ferro, della lana, dei longobardi, etc. Che fu anche percorsa da tantissimi personaggi storici, come il sacerdote boemo Padre Pietro da Praga, che incerto sull’eucarestia, nel 1263 fu testimone del miracolo eucaristico di Bolsena, ma pensiamo anche a Brigida di Svezia, santa pellegrina del XIV secolo e poi alla strada come via della scienza e della conoscenza, percorsa da Keplero a Galileo… 

Perché il tema del pellegrinaggio è così sentito anche dalle istituzioni locali?

Perché hanno scoperto che il progetto non è soltanto un’esperienza devozionale. Fino a una ventina di anni fa il pellegrinaggio a piedi era visto in un senso piuttosto riduttivo. Ma il pellegrinaggio ha anche una valenza storica, culturale, anche nel senso del sentimento religioso delle persone. C’è poi un eminente valore spirituale. Ma il pellegrinaggio porta anche in sé una dimensione legata alla psico-interiorità. Si è riscoperto che il pellegrinaggio ha molteplici valenze tramite l’esperienza

di Santiago. Dal 1989, quando Giovanni Paolo II è andato in viaggio apostolico a Santiago de Compostela, si è riacceso l’interesse per questo cammino. Molti lo percorrono e diverse sono le motivazioni: ritrovare se stessi, la fede, rigenerare la propria esistenza… 

L’identikit del pellegrino come si è modificato nel tempo?

Si è modificato molto. Dal IV al X secolo il pellegrino si muoveva verso le grandi mete della cristianità: Roma e Gerusalemme. Andava alle origini della fede, nei luoghi sorgivi dell’esperienza cristiana. La seconda fase, dal mille in avanti, fino almeno a tutto il XVI secolo, è stato il periodo legato al pellegrinaggio penitenziale. Nel 1300 poi sono iniziati i giubilei e forte è stata da allora la connotazione penitenziale. L’invito era a prepararsi bene in terra per presentarsi bene in cielo in vista della vita eterna. Così accanto al cammino si aggiungono le indulgenze, le confessioni, le penitenze. Dal XVI secolo fino al 2000 circa, il pellegrino è stato un pellegrino locale, che andava nei santuari del proprio territorio, della propria diocesi o del territorio di appartenenza. Le vicende storiche hanno ridotto un po’ l’orizzonte.

La quarta fase è quella che si è sviluppata nel nuovo Millennio e che ha visto la riscoperta dei luoghi tra- dizionali della fede, ma anche del cammino fisico. È ritornata, se si vuole, all’idea del pellegrinaggio come viaggio verso le origini della fede, verso le dinamiche profonde della spiritualità.

Il tema del turismo che si affaccia alle dinamiche della fede è sempre più importante. La Chiesa come vive questa sfida?

La Chiesa lo chiama turismo religioso. C’è chi si muove a piedi, in bicicletta, in gruppo. Molti si muovono con un intendimento e una motivazione religiosa. Vado in un certo ambiente perché alimenta, rinvigorisce la mia fede. Non è una sorta di mix strano tra turismo e fede, è una modalità di approccio

all’esperienza religiosa. La Chiesa lo sta riscoprendo. Quello dei cammini è un grande campo di evangelizzazione, ma anche, come nel caso della Romea Strata, l’esempio di una Chiesa che si apre, che è in uscita, che si mette in ascolto delle dinamiche del mondo di oggi. Molti giovani hanno riscoperto il senso della vocazione cristiana. È uno dei segni dei tempi che abbiamo a disposizione oggi, una modalità con cui possiamo far riscoprire la bellezza dell’essere discepoli del Signore.

Qual è il kit spirituale che ogni turista/pellegrino dovrebbe portare con sé?

Il kit spirituale più semplice è quello che viene narrato nei Racconti di un pellegrino russo che aveva con sé nella sua bisaccia la Bibbia. Ogni giorno ripeteva una frase che riprendeva dalle Scritture. Sceglieva una frase ripetendola e facendola diventare la compagna di via, momento in cui fissare il cuore e la vita su quella parola che anima, sostiene, dà luce. Lo ricordiamo: la parola è «lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 119,105). La parola di Dio è una piccola frase che ogni giorno riscalda i miei passi, mi aiuta a fissare lo sguardo su Gesù. Mi indica come muovere i miei passi insieme con lui, e magari anche a riscoprire Gesù come compagno di strada nella vita di tutti i giorni.