di Piero e Paola Pierattini
Oggi, spesso, la procreazione umana viene di fatto stravolta da pratiche tecnologiche (procreazione assistita, maternità surrogata, utero in affitto, …) che divengono procedure di fabbricazione dell’essere umano. Queste tecniche di riproduzione sono ormai diventate quasi prassi comune e hanno abbandonato il loro valore originale di uso terapeutico (anche se discutibile) per coppie in difficoltà nella procreazione stessa.
La distinzione tra riprodursi, generare o fabbricare figli sembra oramai irrilevante. Quindi, di fatto un uomo e una donna, per svariati motivi, permettono alle tecnologie di sostituire la loro funzione riproduttiva, e il luogo della generazione non è più il grembo materno, ma il terreno di coltura della fecondazione. Già nel 1986 la Congregazione per la dottrina della fede pubblicava il documento Donum Vitae. Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, per definire i gravi problemi morali dell’introduzione delle tecniche di fecondazione artificiale. Oggi la parola “donum vitae” cioè “dono della vita” ha assunto nuovi significati e rimanda, infatti, a donatori di sperma e a donatrici di ovuli, a donne che donano la loro funzione di gestanti e partorienti, a coppie che donano embrioni sovrannumerari creati in laboratorio.
Lungo questa linea, le coppie omosessuali trasformano i loro desideri di paternità e maternità in un diritto da rivendicare e interpretano l’impossibilità di procreare, che dipende solo dalla sessualità umana, come una nuova forma di sterilità a cui la tecnologia deve rispondere. In questa fabbrica dei bambini c’è posto per l’ottenimento di un prodotto sano e garantito, e generare è una selezione che scarta gli errori in forza di una capacità di fabbricazione.
Tutte queste richieste di avere figli a comando, ci porta a dire: dove è il valore dell’agire umano? Che importanza può avere chi è il padre o la madre naturale se quello che conta è avere un figlio? Perché non ricorrere a una donna che può portare a termine la gravidanza di un figlio altrui?
E invece si è genitori se si genera un figlio che non è un prodotto, ma un essere umano come noi! Il nostro corpo non può essere visto come contenitore di materiale biologico che può essere prelevato, manipolato, donato o venduto! Questo è forse ‘sapere’ della scienza, ma non vissuto umano.
C’è indubbiamente bellezza nel generare, perché i neonati sono la speranza del nuovo che irrompe nella vita. Ma per non ridurla a un prodotto e a un progetto scientifico dobbiamo pensare al figlio come a un ospite che si presenta alla porta della nostra esistenza e che deve essere accolto per quello che è, così come è.