In ricordo di Osanna Capecchi e di tante altre

di Ugo Feraci

«La mamma mi disse che dovevo servire mio fratello. E così è andata». Osanna me l’aveva raccontato più volte, insieme a tante altre storie della sua infanzia e della sua lunga vita. Era nata a Montemagno, vicino Quarrata 93 anni fa e fin da quando suo fratello fece ingresso in Seminario il suo destino era già scritto. Osanna non si sarebbe mai sposata; una volta diventato prete avrebbe sempre accompagnato il fratello Luigi nelle sue parrocchie: un po’ perpetua, un po’ sacrestana, cuoca tuttofare, comunque e in primo luogo, sempre sorella affezionata. Per lui spendeva parola di devozione e ricordi commossi della sua “carriera” ecclesiastica: prima priore, poi preposto, poi fratello bisognoso di cure presto a riposo. Don Luigi Capecchi si era ritirato a vita privata a Quarrata, vicino la chiesa di San Giuseppe in Violina, dove, secondo le necessità, andava a celebrare finché ha potuto. Dopo la sua morte Osanna ha continuato a vivere in quella casa piena dei ricordi di un tempo, che ogni tanto prendeva da un cassetto e mi raccontava a lungo.

Il suo luogo del cuore era San Marcello Pistoiese. Qui aveva vissuto a lungo, negli anni centrali della sua esistenza: quando il freddo pungeva nell’immediato dopoguerra e i drammi del conflitto erano ancora vivi, poi negli anni della ripresa, nei tempi d’oro del Cattolicesimo di massa, quando Osanna si improvvisava tecnico cinematografico per proiettare film nel circolo parrocchiale e si perdeva con i ragazzi del paese. Le storie degli altri presbiteri  -preti santi, bizzarri o buontemponi, preti dalla vita difficile e preti spretati – si intrecciavano alla sua, osservatorio privilegiato (non sempre esaltante) sul presbiterio. Un servizio umile e fedele, nascosto ma prezioso. Non sono mancate donne come Osanna. Figure che alcuni custodiscono nella memoria forse più del parroco, che è giusto ricordare e valorizzare. Vite dedicate, certamente con pregi e difetti, più o meno animate dalla fede che, in ogni caso, hanno servito in figli e fratelli, la Chiesa intera.

Percorsi di vita che oggi ci sembrano inaccettabili e che facilmente leggiamo sotto la luce di uno spietato clericalismo maschile. Eppure – per come me l’ha raccontata – la vita di Osanna non era una vita sacrificata. Aveva vissuto in pienezza, con i suoi interessi e le sue passioni – era una grande tifosa di calcio e spesso la trovavo a guardare la partita –, sempre in mezzo agli altri. Con il Signore aveva maturato una relazione bella, semplice ma profonda. Parlava spesso con Gesù, a volte brontolando dei suoi acciacchi, inquieta, negli ultimi tempi, per non riuscire ad essere più autosufficiente, ma sempre certa della sua misericordia e del suo amore. Era un esempio di fede: una fede né scontata né superficiale, semplice ma con grandi domande e intuizioni sapienti, con cui mi ha edificato anche in occasione del sacramento della riconciliazione. Ancora pochi mesi prima della sua morte il pensiero era per la Chiesa. «Mio fratello — mi raccontava in uno degli ultimi colloqui telefonici  — me lo diceva: ricordati sempre delle Missioni». Ha lavorato umilmente nella Vigna del Signore. Ora è arrivato il momento del riposo. Anzi, dell’incontro. Nel ricevere l’unzione degli infermi, ormai semi cosciente, alzava le braccia come a cercare qualcosa o qualcuno. Voglio pensare che ad accoglierla ci sia l’abbraccio del fratello, ma soprattutto quello di Gesù: «servo buono e fedele… sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone».