di Ugo Feraci

Aprirà il mese di ottobre la nuova edizione del Festival di teologia «I linguaggi del divino», ispirata alla celebrazione dell’Anno santo Iacobeo e intitolata «Pellegrini». Il percorso di quest’anno è articolato in due fine settimana in cui sviluppare due suggestioni: «Rimettersi in movimento» e «Riaccendere desideri». Il Festival prosegue idealmente la lunga stagione delle Settimane teologiche guidate da monsignor Giordano Frosini. La formula è però nuova e un po’ meno accademica, gli ospiti pensati per parlare a un pubblico vario e meno addetto ai lavori.

D’altra parte si arriva alla teologia e la si fa in tanti modi. Per il teologo cristiano resta insuperabile il confronto con la Parola di Dio, fonte primaria per accedere alla rivelazione di Dio all’uomo culminata in Gesù Cristo. Ma si fa teologia anche a partire dal basso, dalla ricerca di senso come dall’apertura alla preghiera che accomunano uomini e donne di ogni latitudine e credo. C’è poi, nell’accezione più consueta e tradizionale, la teologia fatta di speculazione razionale, segno della dignità e dell’efficacia di una ragione comunque “capace” di Dio, purchè non ci si dimentichi, come affermava lo stesso san Tommaso d’Aquino, che «in questa vita tanto più perfettamente conosciamo Dio, quanto più capiamo che egli sorpassa tutto quello che è compreso dall’intelletto». Laddove stenta la speculazione razionale, arrivano però l’arte e la bellezza, linguaggi capaci di parlare a tutti. «I sottili ragionamenti – ricordava san Paolo VI – sono inaccessibili agli umili, che sono moltitudine, essi pure famelici del pane della verità: senonché anche questi avvertono, sentono e apprezzano l’influsso della bellezza, e più facilmente per questo veicolo la verità loro brilla e li nutre». Il Concilio Vaticano II ha poi riavviato una riconciliazione tra la teologia e il mondo, nel desiderio di un dialogo sempre stimolante, aperto alla lettura dei segni dei tempi. Per papa Francesco la teologia deve «farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo dentro la Chiesa, ma anche quelli che riguardano il mondo intero», tantomeno può sottrarsi al confronto con la fede e la religiosità popolare, da lui indicata come vero e proprio “luogo teologico”.

A chi obietta, più o meno ingenuamente, che la teologia si riduca soltanto a tanti “discorsi”, vale la pena ricordare che ogni teologia ha pur sempre una ricaduta pratica. Per san Bonaventura, ad esempio, fine della teologia è infatti che «diventiamo buoni». Teologia quindi, per diventare credenti migliori, forse “adulti”? Meglio e più bello dire “santi”. La stessa Chiesa ci insegna che c’è una teologia che passa dalla santità, capace di raccontare in opere e parole, molto più di tanti trattati.

Teologia, ricordava ancora san Bonaventura, è poi lasciarsi “portare per mano”, propriamente nel caso del maestro che guida il discepolo ad accogliere la rivelazione e ad avvezzare la ragione alle cose di Dio. La prossima edizione dei linguaggi del divino attraversa diverse di queste piste, che vi invitiamo a scoprire partecipando al Festival.