Intervista al vicario generale della diocesi
don Cristiano D’Angelo sulle novità dei vicariati
«È arrivato il tempo di cambiare mentalità»
di Ugo Feraci
Nella sua lettera pastorale il vescovo Tardelli presenta alla Diocesi la rimodulazione del territorio diocesano attraverso la costituzione di nuovi vicariati. Una scelta che si inserisce in un orizzonte più ampio che è quello della sinodalità.
«La Chiesa locale è organizzata su più livelli, la Diocesi con la Curia diocesana e le parrocchie: i vicariati — spiega don Cristiano D’Angelo, vicario generale della Diocesi — sono un livello intermedio, cioè raggruppamenti di parrocchie vicine geograficamente che sotto la guida dei loro parroci e di un responsabile, il vicario zonale, cercano di portare avanti le attività delle diverse comunità in linea con gli orientamenti pastorali del vescovo».
A seguito di questa riforma dobbiamo pensare all’accorpamento di più parrocchie? «Vista la situazione della nostra Chiesa locale — spiega il vicario — questa novità sembrerebbe voler risolvere la carenza di clero, in realtà è un’occasione per lavorare insieme, mettendo in comune le risorse delle parrocchie, cercando di aiutarsi e condividendo le diverse ricchezze pastorali. Si tratta di un passo importante da compiere ». «Oggi — prosegue il vicario — si usa molto la parola “sinodalità”; ecco, nelle intenzioni del vescovo c’è l’intenzione di renderla concreta, imparando a portare avanti la missione della Chiesa, l’evangelizzazione, camminando insieme come parrocchie».
Le comunità riunite in un vicariato dovranno programmare insieme la pastorale e condividere idee e risorse: «se, ad esempio, in una parrocchia c’è bisogno di catechisti si può cercare aiuto e collaborazione con quella vicina. Questo significa, concretamente, cercare di avere uno stile comune sulle attività fondamentali. Non si tratta solo di applicare delle regole dall’alto, ma di mettersi insieme per capire come, nei singoli territori, sia possibile far ripartire l’annuncio del Vangelo. Può sembrare una cosa semplice, ma veniamo da un tempo in cui ogni parrocchia era un piccolo “regno” autosufficiente. Oggi però, lo scenario è cambiato e se non si impara a respirare con un polmone unico, rischiamo di diventare insignificanti».
«Questa riforma è una vera e proprio spinta a lavorare insieme tra parrocchie vicine — spiega don Cristiano D’Angelo — e vuole coinvolgere anche i laici attraverso la costituzione di Consigli pastorali di vicariato, composti da rappresentanti delle diverse parrocchie di un vicariato perché possano esprimersi insieme e pensare le scelte più utili per portare avanti il programma pastorale, per far crescere la comunione e la condivisione».
Nelle parrocchie esistono già i consigli pastorali parrocchiali, quel gruppo di persone che con il parroco rappresentano la parrocchia e cercano insieme le strade per tenerla viva e aperta alla missione. I consigli di vicariato prevedono un coinvolgimento più ampio, perché aperto a più parrocchie. A breve il vescovo indicherà le modalità di composizione di questi organismi, «sicuramente però — spiega il vicario — il consiglio sarà composto da membri in parte scelti dai parroci per i vari servizi che già svolgono, in parte per elezione ». I consigli pastorali di vicariato saranno chiamati presto a svolgere compiti specifici.
«Il vescovo — aggiunge don D’Angelo — intende coinvolgerli fin da subito nel cammino sinodale della Diocesi. Uno dei primi lavori che i consigli dovranno fare sarà rispondere alle domande del primo Sinodo che celebreremo probabilmente nell’autunno del 2022. I vicariati dovranno riunirsi, come preti e laici, per rispondere alla seguente domanda: “quali sono oggi, nella nostra vita ecclesiale e nel mondo, quelle realtà che rivelano l’esperienza dello Spirito?”. Cerchiamo, in sostanza, di capire quali indicazioni Dio sta offrendo alla Chiesa per far crescere il Vangelo nel nostro tempo. Sarà un Sinodo sull’ascolto, sulla lettura della vita che stiamo facendo, cercando di cogliere quelle attese di Vangelo già presenti, quelle esperienze in cui il messaggio del Vangelo è atteso».
Oggi si parla tanto di sinodalità, quasi fosse qualcosa di inedito per la vita della Chiesa. «Il termine — spiega il vicario — indica uno stile, il cercare di fare le cose insieme. Essendo uno stile è legato alle persone, alla formazione e alla sensibilità dei fedeli, ma la sinodalità implica anche delle strutture che ne garantiscono l’esercizio: ogni forma di consiglio e di corresponsabilità nella vita della Chiesa esprime infatti una forma di sinodalità». Diverse sono le realtà già presenti e operative in questo senso: il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori, il consiglio pastorale diocesano e quelli parrocchiali, la consulta delle aggregazioni laicali e così via, fino a forme più originali, come il “consiglio delle donne” istituito dal Vescovo Tardelli. «Dunque esiste già una sinodalità— spiega don Cristiano — altrimenti non esisterebbe la Chiesa. Istituire una struttura è più facile, ma camminare insieme comporta un cambiamento di mentalità».