Anche se le scelte emerse dalla Cop26 frenano facili entusiasmi, l’attivismo dei giovani ha suscitato un vasto movimento d’opinione che chiede scelte responsabili “dal basso”

di Alice Peloni

Dopo anni di battaglie affinché le politiche internazionali si indirizzassero verso un impegno concreto nei confronti della questione climatica e ambientale, il G20 da poco conclusosi a Roma e l’appuntamento a Glasgow per la COP26 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) sembrano davvero tracciare una strada percorribile verso scelte economiche a livello europeo e globale non semplicemente più sostenibili, ma finalizzate a obiettivi concreti che non è più possibile mettere in secondo piano. Eppure, tra chi non nasconde il proprio entusiasmo e chi invece nutre ancora qualche perplessità, non sono ovviamente mancate le critiche. Nonostante la tanto esaltata concretezza delle soluzioni a cui i vertici sarebbero giunti, suscitano non pochi dubbi le dichiarazioni finali sulla lotta al cambiamento climatico, contenenti solo un vago riferimento al raggiungimento delle zero emissioni nette entro metà secolo dopo il freno imposto da Cina, India, Russia e Arabia Saudita. Ecco che l’obiettivo di restare entro la soglia di 1,5°C senza pensare di arrivare alle emissioni nette zero almeno entro il 2050 appare, posto in questi termini, tutt’altro che concreto.

Ma i più intransigenti rimangono coloro che, fin dall’inizio, hanno scelto di portare il problema ambientale di fronte ai grandi del pianeta: ad un mese dalla ripartenza delle manifestazioni, i FridaysforFuture sono scesi di nuovo in piazza, a Roma, proprio in occasione dell’inizio del G20.

La lotta per il clima e l’ambiente assume il volto delle giovani generazioni, che se da una parte rappresentano un esempio virtuoso, dall’altra diventano bersaglio facile di critiche e polemiche mosse, in certi casi, dai giovani stessi: «È necessario riconoscere l’impegno che FridaysforFuture ha messo per concentrare l’attenzione sul problema ambientale, ma è altrettanto vero che spesso le modalità con cui queste manifestazioni vengono svolte sono in totale contraddizione con i propositi e i principi del movimento in sè» sostiene Elena Tiberi, 19 anni, iscritta al primo anno di giurisprudenza e allieva della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «Basta pensare alla spazzatura e alla plastica che viene lasciata nelle piazze dopo questo genere di manifestazioni. Viene spontaneo chiedersi se quella che era una nobile causa non abbia finito per essere strumentalizzata diventando l’ennesimo trend a cui aderiscono in molti per pura emulazione». Ma senza una partecipazione così attiva da parte dei giovani, occasioni di cambiamento come il G20 e la COP26 si sarebbero mai concretizzate?

«Accade sempre nelle manifestazioni che partecipino persone non realmente interessate alla causa o con altri scopi, il rovescio della medaglia va sempre considerato. Tuttavia bisogna riconoscere che siamo stati soprattutto noi giovani a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni ambientali e dunque, se ad oggi dal G20 è emerso un piano di azione in grado di metterci sulla strada giusta è anche merito nostro»; così si pronuncia Giorgia Di Santolo, 19 anni, studentessa di Biotecnologie e allieva della Scuola Superiore Sant’Anna, particolarmente positiva riguardo ai risultati ottenuti al G20.

«È chiaro che queste due giornate non saranno risolutive, è un’utopia pensare di trovare in due giorni una soluzione a un problema che ci portiamo dietro da anni. Tuttavia i 100 miliardi stanziati per le aree del mondo in via di sviluppo, se verranno impiegati in politiche serie, costituiranno un sostegno importante che permetterà alle economie dei paesi più fragili di essere rilanciate ma in una prospettiva sostenibile, e questo avrà senz’altro un effetto benefico a livello globale. Da non dimenticare poi la COP26, annullata lo scorso anno a causa della pandemia ma che, grazie alla sua posticipazione, ospiterà gli Stati Uniti che hanno deciso di tornare a farvi parte dopo che si erano tirati indietro. La speranza è che una così ampia adesione porti davvero con sé soluzioni concrete».

E mentre i vertici del mondo discutono di grandi questioni, i giovani cercano di fare il loro meglio nella vita di tutti i giorni, come spiega Elena: «Cerco di impattare il meno possibile sull’ambiente facendo scelte sostenibili, come evitare la plastica, preferire l’usato, evitare di mangiare carne. Tuttavia bisogna considerare che tutti noi siamo coinvolti in un meccanismo consumistico dal quale è difficile svincolarsi, e dunque capita a tutti di fare scelte che non sono eco-friendly. L’importante è aver maturato, a livello collettivo, la consapevolezza che non esiste un pianeta B. È questo che, a lungo termine, farà davvero la differenza».