La lettera dell’Ufficio diocesano contesta una formazione al ribasso, a partire dall’esame di Stato
Una lettera che chiama in causa tutti gli esponenti politici del territorio e non solo: dalla senatrice Bini all’onorevole Carrara, dal senatore La Pietra al senatore Vescovi, e ancora tutti i segretari di partito, tutti i componenti di commissioni parlamentari di Camera e Senato di istruzione e cultura, il ministro dell’istruzione, i sottosegretari, lo stesso presidente Draghi.
Edoardo Baroncelli, direttore dell’ufficio per la pastorale dell’Università e della scuola della diocesi di Pistoia, prende spunto dal tema dell’esame di maturità per lanciare il «grido milaniano di una scuola che sacrifica i più fragili non più, come faceva una volta, con la faccia feroce di chi boccia, ma con il miele di un percorso senza asperità che, invece di formare, non prepara a un domani fatto di colloqui di lavoro, di concorsi, dove gli ostacoli esistono e vanno superati».
In questi ultimi mesi, infatti, il ministro Bianchi si è sbilanciato in dichiarazioni che alludono alla volontà di riproporre anche per la maturità 2022 la medesima prova d’esame che le condizioni eccezionali della pandemia hanno costretto ad adottare nel 2020 e, con piccole varianti, nel 2021, ossia un orale basato prevalentemente su una tesina, preparata dagli alunni in collaborazione con i docenti, sulle materie di indirizzo declinate in una prospettiva interdisciplinare. Più che una vera e propria prova d’esame, una «chiacchierata dagli esiti facilmente prevedibili che azzera totalmente l’effetto sorpresa che può avere una prova dal contenuto ignoto come il tema, la versione di greco o latino, la prova di matematica o fisica e così via» spiega Baroncelli.
«La scelta di una forma d’esame piuttosto che di un’altra non è fine a se stessa: significa scegliere a proposito dell’idea di scuola che si ha. Ecco perché abbiamo pensato di intervenire come diocesi»: di fronte a un’idea di scuola che, piuttosto che preparare gli studenti alle sfide del mondo del lavoro, sembra indicare la via più breve e indolore per arrivare ai propri obiettivi aggirando gli ostacoli, Baroncelli, con la sua lettera, ha voluto sottolineare come «questa facilitazione rischi di pregiudicare la possibilità di garantirsi un futuro ai più fragili, a coloro che hanno solo la scuola come alternativa a una condizione familiare, sociale o economica incerta». Ecco che si fa sempre più necessario un dibattito non sul “dover essere” della scuola, ma su ciò che essa realmente è.
L’Italia è il paese d’Europa che riesce a laureare di meno i figli di non laureati, nonché uno dei paesi con il maggior abbandono scolastico, in un declino costante che vede contrapposti due punti di vista incapaci di comunicare: da una parte un’idea di scuola come comunità educante ed inclusiva che non deve puntare ai contenuti, dall’altra una visione educativa fondata sulla produttività in termini di rendimento e sulla meritocrazia. È necessario trovare un punto d’incontro tra queste due visioni «attraverso un dibattito che non si limiti a teorizzare una forma ideale di scuola, ma metta al centro i giovani nell’ottica di una prospettiva concreta per il loro futuro».
Un dibattito necessario
«Se è lecito immaginare la scuola come una zattera – scrive il direttore dell’Ufficio scuola Baroncelli – non è più possibile salvare tutti o comunque aumenta il numero di coloro che non traggono dalla esperienza scolastica tutto ciò che gli sarebbe possibile e in molti casi necessario per il loro futuro. Con un po’ di enfasi si potrebbe dire: non togliete alla scuola e agli insegnanti anche gli ultimi strumenti che restano per essere utili al futuro dei loro ragazzi. Su questo tema intendiamo dialogare con tutti coloro che ci ascolteranno, e che condivideranno la necessità di una riflessione che sappia di concretezza e di realtà».
Alice Peloni